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letteraTi devo delle scuse, cara lettera. Ti pensavo scomparsa, e invece eccoti qui.

Sei tornata di moda. Dopo anni di social media, post su facebook e chat di whatsapp, finalmente rieccoti. Proprio tu, con la debita formattazione, con tanto di “Caro, cara…” e quei meravigliosi “cordiali saluti” alla fine, che fanno tanto d’antan. Sei talmente vintage, cara lettera, che neppure tu hai potuto resistere a questa selvaggia ondata di ripescaggi dall’armadio delle cose vecchie: ti abbiamo rispolverata e ridato un contegno. E poi ti abbiam buttato nella mischia. Al solito, armiamoci, e partite.

Come tutte le cose che erano parte della quotidianità d’un tempo, ora ti si usa quando ci si vuole dare un tono, o far finta d’esser eleganti. Un po’ come andare a prendere l’aperitivo con la 500 del nonno o a comprare il latte con i Persol di quando papà era ragazzo. Ebbene, che piacere ritrovarti.

Ti ho letto molto, ultimamente, cara lettera. Sei cambiata, sai? Una volta ti usavamo per comunicare con qualcuno, nella speranza ti si leggesse. Ora vieni buttata nel mucchio, alla mercè di tutti, in modo che chiunque possa conoscere i tuoi segreti, tranne colui al quale eri indirizzata.

Mi sa che t’abbiamo un po’ malinterpretata. Non eri fatta per finire sulle pagine di qualche blog, nè per avere in calce qualche link dofollow per dare il contentino al SEO. Eri un segno d’amore, un manifesto d’impegni, un tocco gentile nella solitudine solo immaginata di un mondo che è tanto più solo oggi di allora. Una volta a te affidavamo i nostri “mi manchi”, oggi tutto quel che sappiamo darti sono i nostri “forse non sai che ti manco anche io”. Sai cosa? Questo fiocco polemico che t’han legato addosso non ti dona per niente.

Sei diventata un fine, e non un mezzo. E con buona pace di McLuhan e della semiotica da tavola, non credo sia un gran segno. Per te, ma sopratutto per noi. Ti abbiamo gettato nel mucchio di questa comunicazione confusa e disordinata, divenuta tanto autoreferenziale da scriversi, leggersi e rispondersi da sola. Non sei la nostra ultima ratio, non siamo ancora così disperati, ma il tentativo era da fare perchè -insomma- ci manca poco.

Ti devo delle scuse, cara lettera. Proprio noi, uomini di comunicazione, ci siamo dimenticati come si comunica: ora facciamo a chi grida più forte, non a chi si fa capire meglio. Tu servivi per note dolci ed intime, mica per la guerriglia verbale.

La verità, vecchia amica, è che i tempi sono tosti e non si fanno prigionieri. Abbi pazienza, dunque. Ti stiamo usando per scannarci fra noi, fra brand, agenzie, freelance e startup, senza capire che in realtà siamo tutti dalla stessa parte. E’ una guerra fra poveri, in cui tutti ci si guarda in cagnesco ma non c’è vincitore. Ci passiamo la patata bollente ma nessuno ci ha ancora detto a che pro.

E’ successo tutto così in fretta che nessuno ha fatto in tempo a preparare le istruzioni per l’uso. Guardiamo “Mad Men” la sera e pensiamo ancora che quello sia il nostro lavoro, il nostro mondo. Ci stiamo ancora prendendo le misure, a questo nuovo mondo e a questa nuova Italia, dove nessuno conta più niente. E dove i soldi non li ha più nessuno. Abbiamo il Jet lag da recessione. L’handicap golfistico da ristagnamento.

Era facile una volta. O meglio, era più facile, una volta. Per tutti. Perchè quando girano i soldi, presto o tardi tutti son contenti. Forse sta lì il punto.

Ne verremo fuori, cara lettera. E forse ti rimetteremo a dormire in un cassetto. O ti useremo per scopi più nobili.

O forse no.

A presto,
Emanuele

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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