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Lo dico sinceramente, certo di attirare le antipatie di tanti. Io voglio che vinca San Antonio. Lo dico con franchezza, senza sportività, senza essere super partes ed, anzi, partendo da un sacco di preconcetti e di idee tutte mie. Io voglio che vinca San Antonio.

Voglio che vinca San Antonio perchè gli Spurs sono il basket. Il basket che piace a me, quello con un passaggio in più, quello in cui non è indispensabile che qualcuno ne faccia 40 e 15 per portarla a casa.

Voglio che vinca San Antonio perchè sono una squadra capace di emozionare come collettivo, e perchè in loro vedo ancora la passione sana e genuina, un po’ rustica se volete, di chi gioca perchè è quello che gli piace fare nella vita. Mi piace pensare che siano animati dalla stessa voglia, dalla stessa insensata follia che ti porta sul cemento rovente del Meloncello ogni sabato pomeriggio, o in palestracce orrende al venerdì sera a romperti ginocchia e caviglie a 150 chilometri da casa. E, maledizione, che ti porta a continuare a farlo e ad averne voglia.

Voglio che vinca San Antonio perchè c’è Parker, che è un playmaker vero, e c’è Duncan, che è un lungo vero. Gente che gioca una pallacanestro da manuale, di robe semplici: penetra e scarica, pick and roll, rotazioni difensive.

Voglio che vinca San Antonio per Manu Ginobili, che lo dai per spacciato e che in conferenza stampa di gara 4 quasi piange quando a fatica pronuncia le parole “retirement“. E’ lo stesso giocatore che poi, quando Popovich lo mette in quintetto dopo un anno firma una doppia doppia che è da storia del gioco per intelligenza e intensità.

Alla AT&T Arena quello che è andato in scena è stato un banchetto argentino, un matrimonio di luci e colori con un primo quarto che andrebbe studiato sui libri di scuola. Sarò retrò, ma preferisco Manu ai vari Wade, Lebron e compagnia. Sarà, perchè no, anche quel gusto di nostalgia a sapere che tu quel ragazzo, quel “cinno” come dicono qui, lo hai visto giocare, prima a Reggio Calabria e poi in una delle squadre della tua città. E, qui come là, nel cuore dell’America, sta regalando un sogno. Forse lo ha anche già regalato.

Se gli Spurs la spuntassero anche in gara 6 sarebbe il terzo titolo in dieci anni. Sempre, più o meno, con le stesse facce a guidare lo spogliatoio e tanti ragazzi attorno che -almeno loro- ubbidiscono ed eseguono eccome. In silenzio, con umiltà. A San Antonio, che è ancora uno di quei posti in cui gli uomini hanno gli stivali e il cappello a tesa larga, non ne hanno fatte di presentazioni in grande stile, ebbri di boria a celebrare i “Big Three”, comprati a suon di polemiche e milioni.

Ma soprattuto,voglio che perda Miami. E, badate, non è la stessa cosa. Voglio che perda perchè sono l’espressione dello sport che non mi piace. Quello montato, frastornante, che vive di momenti e non di storia. Gli Heat sono una scommessa, una dimensione sportiva che non capisco e che non accetto: una squadra fatta sui fogli di bilancio e mettendo insieme le tre superstar del momento. Con la matematica e con i soldi. E a me non piace la matematica.

Non ci sono dubbi: LeBron James è probabilmente uno dei 5 giocatori più forti di sempre a questo sport. Forse è il più forte di sempre. Eppure in lui e negli Heat non riconosco quella voglia di sangue e sudore che c’era nei Bulls di Jordan, nei Lakers di Magic, nei Celtics di Bird. Certo, altre epoche, e fare della dietrologia è sempre facile. Ma in Wade+James+Bosh non vedo ardore, non vedo il cuore oltre l’ostacolo come direbbe qualcuno. Forse, ma sono io, non ci vedo il miracolo, l’impresa, l’ingresso nella storia.

Forse, e ci tengo a ribadirlo, è colpa mia. Per me questo è ancora un gioco carico di passioni, che vive di stati d’animo e di sfide. Sul parquet, per me, ci sono sempre 10 storie ma le cinque dei giocatori della Florida non mi piacciono. Non ce li vedo gli Heat al Meloncello, al Romainville o a I° Maggio. Colpa mia.

Martedì San Antonio può fare la storia. “The old guys are back” cita un cartello di un tifoso degli Spurs, i vecchi ragazzi son tornati.

Forse, non se ne sono mai andati.
#BELIEVE

BY Emanuele Venturoli - RTR Sports Marketing
Nelle foto: Manu Ginobili e Danny Green
Pictures from the web

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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