In Formula 1

Il concetto di misurabilità è un principio fondante del marketing moderno. Seguendo la regola aurea secondo la quale “se è misurabile, allora è modificabile”, numeri, dati e report di ogni genere sono rapidamente divenuti la pietra fondante di qualsiasi strategia aziendale. La modernità, se possibile, ha dato nuova linfa a questa idea, proiettandoci negli ultimi 15 anni in un mondo in cui il numero di like, di visite, di retweet e di follower fornisce immediatamente una misura del successo.

Quando si parla di sponsorizzazione, il concetto di misura diventa più stratificato. Esistono numerosi indicatori di performance di una campagna di sponsorship, dal ROI, al ROO, al ROE, all’impatto sul venduto, all’Advertising Value Equivalency (AVE), ovvero il valore economico di pubblicità che un brand dovrebbe acquistare per ottenere una visibilità uguale.

Sponsorizzo, ma qual’è il valore del ritorno?

Senza volere scendere in tecnicismi non necessari, l’AVE, uno degli strumenti che meglio comunicano il valore immediatamente generato dalla sponsorizzazione, si calcola moltiplicando la visibilità dell’esposizione del marchio in secondi per l’audience totale per il costo di un secondo di pubblicità.  All’interno di una simile formula, che offre in uscita un dato economico di grande precisione, ha ovviamente un peso molto rilevante il calcolo dell’audience televisiva.

Al giorno d‘oggi, ogni property sportiva di medio-alto livello è in possesso di numeri sull’audience assai precisi e aggiornati, forniti di volta in volta dalle leghe o dai possessori dei diritti televisivi. Parimenti informate sono le agenzie di marketing sportivo e i grandi centri media. Degli spettatori non si conosce solo il numero, ma la provenienza geografica, il profilo demografico, e le abitudini di fruizione.

Tuttavia è proprio quando la misurazione dell’audience si è fatta così precisa e verticale che il concetto stesso di audience è stato messo in dubbio. Senza malizia è lecito domandarsi come venga in effetti calcolato questo numero così importante e centrale nel processo decisionale.

In sostanza, cos’è uno spettatore TV di un evento sportivo?

Non esiste una definizione standard e universalmente riconosciuta di “viewer” e anche se ci fosse non risponderebbe ad altre domande circa la fruizione ripetuta, la fruizione differita o la fruizione intermediata.

Il concetto di “audience” a cui siamo abituati deriva in realtà da una tradizione televisiva datata circa un quarantennio. Nel senso comune, specie in un paese come l’Italia in cui l’espressione “Dati Auditel” è entrata a far parte del lessico familiare, l’audience è il numero complessivo di persone che hanno seguito un determinato programma televisivo per almeno un minuto consecutivo. È un concetto talmente radicato e appartenente al senso comune che raramente si riflette sul fatto che in realtà la situazione è molto più complicata di così e che non sempre l’audience di un evento è calcolata in questo modo.

Si ponga il semplice esempio di un evento sportivo di larghissimo consumo, come una partita di Champions League o un Gran Premio di MotoGP o F1.

Io, spettatore, mi metto sul divano e accendo la TV per seguire la diretta del Gran Premio, ma dopo due minuti un impegno mi costringe ad uscire di casa e abbandonare la visione. Cerco di seguire la trasmissione dal cellulare, con un dispositivo mobile on demand, ma dopo cinque minuti la qualità del segnale è pessima e abbandono l’ascolto. Mi rifaccio però la stessa sera e guardo l’evento in differita, finalmente completando la visione. Nel telegiornale che segue, un lungo approfondimento sportivo mostra gli highlights e i sorpassi più emozionanti, oltre ai festeggiamenti sul podio. Prima di andare a dormire, infine, guardo una decina di minuti di una trasmissione di commento dedicata alla gara, con replay, interviste e retroscena.

Quante volte ho visto l’evento sportivo?

Quanti singoli minuti consecutivi -seppure su diversi canali e strumenti- ho generato sullo stesso evento? Il concetto, introdotto alla fine del secolo scorso, di audience cumulativa (ovvero dell’audience su un dato evento generata da tutte le possibilità di visione dell’evento stesso, tra cui highlights, telegiornali, repliche, approfondimenti) dice però che io sono 5 “viewers” diversi.

Si badi bene: l’esempio è di finzione ma ben lontano dall’essere campato per aria. I tifosi di calcio -e le pazienti consorti- ben conoscono il tam tam domenicale in cui alle partite si susseguono i programmi di approfondimento, i telegiornali sportivi e le trasmissioni di commento.

Il curioso caso dell’audience della Formula 1

Il tema dell’audience cumulativa sugli eventi sportivi iniziò a generare qualche perplessità quando al termine del Campionato del Mondo 1999, la Formula 1 divulgò i dati sull’audience mondiale dichiarando con orgoglio di avere avuto 57.8 Miliardi di spettatori. Un numero interessante, specie su un pianeta che globalmente contava all’epoca 6 Miliardi e mezzo di persone e che causò più di un sopracciglio alzato fra sponsor e addetti ai lavori: che credibilità può avere un dato di audience dieci volte superiore alla popolazione mondiale?

Proprio per questo motivo, nel 2004 la Formula 1 ingaggiò Michael Payne, esperto di marketing proveniente da più di 20 anni di comitato Olimpico. Fu Payne a prendere il torno per le corna dando la definizione di “viewer” che ancora oggi viene usata nelle misurazioni televisive in F1: si intende come viewer qualunque persona che abbia visto nel corso della stessa stagione almeno 15 minuti anche non consecutivi di Formula 1.

Dopo avere rifatto i conti, finalmente dotati di una definizione chiara e comprensibile, oltre che più gradita agli sponsor, la Formula 1 dichiarò i nuovi dati di ascolto. Numeri maestosi che nel 2008 raggiunsero la quota straordinaria di 600 milioni di “unique viewers”. Ben più di mezzo miliardo di persone nel mondo aveva visto almeno un quarto d’ora di Formula 1: il circus era ufficialmente divenuto la “most-watched annual sports series” del mondo, ovvero l’evento sportivo con cadenza annuale più visto sul pianeta. Più grandi unicamente le Olimpiadi e la Coppa del mondo di calcio, con cadenza quadriennale.

Il 2008 è però anche il punto più alto di una curva che da lì in avanti comincia a flettere senza pietà. Dai 600 milioni di spettatori unici si passa ai 520 del 2009, ai 500 del 2012, ai 400 del 2015. In sei anni lo sport più popolare del mondo ha perso un terzo del suo pubblico: un trend impressionante per dimensione dell’emorragia.

audience-f1I media sono celeri ad interrogare i vertici della F1 su quel che sta accadendo, ma ora è lo stesso board della Formula 1 a giocare la carta dell’errato calcolo dell’audience, spiegando che il calo non è dovuto ad un’effettiva diminuzione degli spettatori ma al fatto che questi avevano cominciato ad utilizzare sistemi di fruizione differenti e difficilmente misurabili.

Quello che il grafico non racconta, e che il management della F1 è lesto a negare, è che il calo di popolarità della F1 era dovuto ad alcuni fattori abbastanza evidenti, fra cui il passaggio alle Pay-Per-View, l’assenza di competizione e l’introduzione in calendario di circuiti noiosi e senza fascino a discapito di alcune piste storiche.

Nonostante le rassicurazioni, il trend sull’audience globale non si inverte neppure quando la proprietà dello sport passa da Bernie Ecclestone al Gruppo Liberty Media, che promette di portare aria fresca e nuova sul più famoso sport a motore della storia. Il primo anno della nuova gestione l’audience cala di altri 10 milioni.

Quando, il 5 Gennaio 2018, una nota stampa ufficiale (https://www.formula1.com/en/latest/headlines/2018/1/strong-growth-for-f1s-tv-and-digital-audiences-in-2017.html) rende noti i dati di audience 2017, la frittata è completa e la confusione sui dati e gli ascolti è massima.

“During 2017 -recita la nota- 352.3 million unique viewers tuned their TV set into F1 programming at least once – the first time since 2010 that there was not a decrease in this specific number”. È un’affermazione strana e contraddittoria: come può la Formula 1 avere perso 40 Milioni di spettatori e dichiarare ufficialmente il trionfo per il miglior risultato dal 2010?

Ancora una volta, la spiegazione arriva dalla metodologia del calcolo dell’audience.

I dati del 2016, spiega Liberty, sono stati calcolati da un’agenzia terza che ha raccolto i numeri provenienti dai 10 maggiori territori mondiali, li ha parzializzati ed elaborati per simulare il totale dei 200 territori raggiunti dal segnale TV. Come a dire: in realtà noi non sappiamo cosa sta succedendo nei 190 territori che non monitoriamo, quindi prevediamo attraverso un modello matematico che la faccenda sia più o meno così.

Questo metodo di misurazione, sulla carta abbastanza fallibile, è stato modificato lo scorso anno. Ora i paesi di cui effettivamente si registrano i dati d’ascolto sono 63, ben 53 in più del 2016. La simulazione che ne deriva è ovviamente largamente più precisa e fornisce un dato molto meno arrotondato. Applicando questo metodo retrospettivamente, sostiene Liberty, e andando a rifare i calcoli per gli anni scorsi, il 2017 si mostrerebbe assolutamente in linea con gli anni precedenti, i cui numeri erano in realtà errati.

Difficile capire dove stia il vero, se in un’effettiva problematica metodologica o se queste siano le strategie di difesa di un gruppo che sta faticando più del previsto a salvare uno sport in crisi. Certamente la controversia non fa bene agli sponsor della Formula 1, che con crescente lena stanno abbandonando lo sport per trovare nelle due ruote, nel calcio e in altre discipline una maggiore certezza del risultato e una migliore comprensione del contorno.

Ci auguriamo che da qui in poi dati siano comunicati utilizzando un metodo costante, solo in questo modo sarà possibile avere un chiaro trend dell’andamento dell’audience e della salute della F1 che, nonostante tutto, rimane la categoria più popolare delle quattro ruote.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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