In Formula 1, Marketing Sportivo

Quest’anno abbiamo celebrato il trentunesimo anniversario della scomparsa di Gilles Villeneuve. L’8 maggio del 1982 l’impatto con la lenta March del tedesco Jochen Mass sul circuito belga di Zolder , nelle Fiandre, interruppe la vita del canadese volante.

Pochi sono stati così grandi da segnare un’epoca: Gilles ha fatto di più, è diventato leggenda.

Villeneuve è entrato nella storia come Neil Armstrong ed è stato amato in vita come nella morte alla stregua di Jimi Hendrix. Perché ha saputo rappresentare un mondo che non esisteva più, se non nello stile e nel coraggio. E’ riuscito a dare un’identità precisa e riconoscibile a quanti ogni giorno mettevano in pratica le sue armi pur vivendo vite molto diverse e più umili della sua. Ci ha insegnato il coraggio e ci ha illustrato il cuore. La sua aura di grandissima umanità continua a splendere e lui, a più di trent’anni dalla scomparsa, è ancora un punto di riferimento. Non solo per chi dell’automobilismo ha fatto una professione o un indirizzo di vita, ma per tutti. Per tutti quelli che sanno riconoscere la poesia della parabola umana, almeno.

Il suo modo di guidare andava oltre l’aspetto sportivo, la sua era una continua sfida alla sorte ma attuata con rispetto e con l’aria romantica dell’ultimo dei Don Chisciotte del volante, senza spavalderia o arroganza. Si batteva allo stremo, con tutti e con la massima lealtà. Epiche le sue lotte contro la McLaren e la Williams, vetture molto superiori alla sua adorata Ferrari.

La sua grinta era di esempio per tutti. Nonostante lo svantaggio tecnico della casa di Maranello in quegli anni, Villeneuve riusciva a farlo diventare un aspetto secondario. La tenacia, la determinazione superavano di gran carriera le differenze meramente tecniche, i corpo a corpo che ingaggiava lo vedevano sempre vincitore, dall’altro del suo metro e cinquantasei di statura.

Epiche le scene che ci riservava sui circuiti, in quelle domeniche dei primi anni ottanta; una volta arrivò al traguardo con l’auto in fiamme da almeno due giri. Chiunque su sarebbe fermato. Lui no. Lui doveva arrivare, lui era il predestinato.Quanti lo avrebbero fatto?

Il suo cuore e la sua imprevedibilità superavano qualunque tecnica. In un’altra occasione lo vedemmo giungere al traguardo con mezza macchina; l’altra metà, quella anteriore, se ne era andata in uno dei tanti scontri di cui era spesso protagonista.

Solo sei vittorie in due anni, fu il bottino sportivo. Ma quante emozioni, quante soddisfazioni seppe darci il piccolo Villeneuve. Pagava lo scotto di avere un mezzo tecnico inferiore alla concorrenza, la rivalità interna alla scuderia con il francese Pironi ed un rapporto non facile con il team. Ma è il destino di tutti i geni, quello di non essere compresi.

Dopo di lui ci sono stati molti altri campioni. Forse solo Ayrton Senna da Silva, (casualmente, un altro campionissimo morto in pista) ha saputo avvicinare la poesia che il piccolo canadese aveva raggiunto. Suo figlio Jacques ha voluto ricalcare la sue orme, ed è stato campione del mondo nel 1997. Enzo Ferrari, il Drake, si lasciò sfuggire che gli voleva bene. Il circuito più importante del suo Canada, quello cittadino di Montreal, è stato intitolato a lui.

Ci manchi ancora Gilles. Mercì.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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