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jorge lorenzo phillip island

jorge lorenzo phillip island

Ti svegli a Phillip Island. L’isola, uno spartiacque naturale per i mari placidi di Western Port, nel sud dell’Australia, è un paradiso del surf. È uno di quei posti che vedi nei film, o di cui leggi nei libri. In cui ci sono più canguri che abitanti, in cui il mare è verde e trasparente. In cui i tramonti sono tutti arancioni. Per dirvi il tempo che fa qui, hanno visto la neve una sola volta negli ultimi 156 anni. Era il 2005 e circa tre generazioni di persone l’avevano vista solo al telegiornale: è durata tre ore, e sono stati tutti fuori di casa, per vedere l’effetto che faceva.

Quando le moto a Phillip Island spalancano il gas, dalle curve 3 alla 6, vedi il mare quello vero. Quello coperto dalle coccarde argento e celeste dei riflessi del sole. È bello qui, e anche gli scarichi delle belve a due ruote hanno un profumo diverso.

È il coronamento perfetto, il finale da manuale di una stagione di alti e bassi, come le coste dell’isola australiana. Jorge Lorenzo vince un mondiale di matematica pura, dimostrando che si vince con la velocità e con la geometria, con la foga dei sorpassi e con la lucidità del calcolo. È straordinario questo spagnolo, che è sempre arrivato primo o secondo, che si aggiudica il titolo con una gara di vantaggio e che il destino ha dotato di un destriero non così prestante come quello arancione, bianco e nero della casata rivale. Lorenzo guida con l’esperienza di una delle grandi divinità della categoria, pur nel corpo di un ragazzino. Ha limato e smussato gli angoli, ha conservato il fulcro pulsante e lucente del suo talento ma l’ha imbrigliato in un contenitore ingentilito, discreto, più maturo. Parla di Pedrosa dicendo “bravo”, ringrazia squadra e meccanici che neanche agli Oscar, ammicca a Stoner dicendo “peccato” e menziona Valentino Rossi come si parla del vicino di pianerottolo, cui si riservano le cortesie del mezzogiorno e della sera, ma con le porte sistematicamente chiuse.

Pedrosa cade, e il Mondiale è finito. Lo spagnolo, questo, ha avuto la sfortuna di un avvio macchiato dalla presenza di un compagno ingombrante e con il numero uno sul cupolino. Poi le chiacchiere del ritiro, poi la frattura, poi il rinnovo contrattuale, poi la rincorsa furibonda, e la grande delusione: povero Daniel San, che anno che deve essere stato. In realtà, l’annata di Pedrosa è finita in Romagna, quando la fortuna se n’è andata a San Giovese e Piada e l’ha lasciato lì, prima immobile sulla griglia e poi centrato alla prima curva da uno dei soliti ragazzini terribili che giocano alle moto come si faceva con le bici in cortile.

Il canguro volante

Nel weekend di Phillip Island, mentre Lorenzo ride come Atene e Pedrosa piange a mò di Sparta, ti accorgi anche di Stoner. Passa nella tre giorni canguresca come il Padrone di casa, saluta con la mano ad ogni chicane, gli intitolano una curva, ormai non si gioca più niente ma fa pole e primo posto in carrozza. E ti chiedi “ma come sarebbe stato con questo in mezzo alla mischia?”. Casey vince in punta di forchetta la gara di casa, scivola fra le curve dell’isola con la facilità e la mnemonicità di chi fa divano-frigorifero alla domenica pomeriggio. Già, peccato che se ne debba andare. Ma si è divertito, questo è certo, e ai microfoni dell’isola parla come chi, a inizio Giugno, ha riaperto la piscina dopo l’inverno, e gli è proprio piaciuto.

Ti svegli a Phillip Island, il lunedì, e i ragazzini se ne sono già andati. Nel circuito, al posto loro, c’è un grande spiazzo grigio, unto dal vento salmastro. Dura un attimo, un respiro, lo scroscio dell’onda sugli scogli della baia, ma è sempre un’emozione. L’isola torna al silenzio dei gabbiani, alla marcia dei pinguini. Mondiale chiuso: Valencia sarà passerella.

By Emanuele Venturoli - RTR Sports Marketing
Nelle foto: Phillip Island, Jorge Lorenzo e Valentino Rossi
Pictures from the web

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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