Il rumore. E’ questa la cosa che mi è rimasta più in mente. E che non si può descrivere nè immaginare. E’ un rumore assordante ma affascinante al tempo stesso, un canto che senti a chilometri di distanza e che ti arriva prima ancora di vedere i cancelli del circuito, o di mettere piede sui prati o sulle tribune.
E’ un suono potente ma armonioso, frutto della più alta ingegneria del mondo, il suono della forza, della velocità, della tecnologia, della speranza. E’ il suono di oltre 230 cavalli che si scatenano nelle uscite delle curve e sui rettilinei domati con mano leggerissima da piloti che toccano freni e frizioni con la dolcezza di chi mette le mani su un pianoforte.
Se avete pazienza e chiudete gli occhi sentirete il metronomo nelle staccate, nei cambi di marcia, la violenza che si piega all’equilibrio, alla necessità. Quarta, terza, poi giù nel guidato, quarta di nuovo, quinta fino in fondo al piccolo dritto. E, senti, non è più rumore.
Diventa musica il rombo di queste belve addomesticate da pochi, capaci di danzare su traiettorie millimetriche fino a quando le virgole nere sull’asfalto non si poggiano l’una sull’altra, l’una sull’altra, l’una sull’altra. Come per la musica è questione di ritmi e millesimi di secondo, equilibri provati e riprovati. Piccoli gesti quotidiani, una vita per una canzone perfetta, o per un giro perfetto.
Che bello che è questo rumore, quando ne senti l’armonia.
#VEDILADAVICINO
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