In MotoGP

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Un vuoto incolmabile

Il fumo. La nebbia. E la cenere. Cenere ovunque.
Quattro anni senza, e il cielo ancora piove lacrime grigie.

Marco Simoncelli manca a questo paddock e a questo mondo da millequattrocentoesessantuno giorni. Se qualcuno per caso avesse il dubbio che io non li stessi ancora contando. È tristemente ironico e persino grottesco che questa pista dove perse la vita sia oggi coperta da una perenne e densa coltre di fumo, proveniente dagli enormi incendi nella foresta tropicale di Sumatra. Il Southest Asian Haze, così si chiama, la tempesta infinita di fumo e cenere che avvolge, ormai senza sosta, questo posto. Basta un niente, e su ogni cosa si posa un velo incolore e immobile.

Fumo e cenere, ancora.

Il ricordo di Marco appare costante in questo paddock in una maniera così gentile e così leggera da ferire ogni volta. Come il taglio profondissimo e candido di un foglio di carta sulla punta delle dita. Lo vedi sugli adesivi dei camion parcheggiati, sui piccoli 58 disegnati a pennarello indelebile sui pannelli divisori, sui tatuaggi sulle braccia dei meccanici e dei tecnici che passeggiano per il paddock, la sera del giovedì.

Per chi lavora qui, per chi vive qui, Marco c’è ancora, con una forza e una presenza che è semplicemente inspiegabile a chi non è di questi posti, di questi luoghi. Il suo ricordo unisce, accomuna e stringe ad un livello che è molto più intimo di quello epidermico. Attorno a quei ricci così irriverenti, attorno a quel sorriso che avrebbe potuto spaccare il mondo in quattro, il circus di questa MotoGP si è riunito e ha fatto quadrato, ancora di più.

È diventato famiglia, non in una concezione mulinobianchesca, ma in quella più veritiera di un luogo geometrico dei punti in cui ci si incazza, si lotta e si bisticcia ma si ha la consapevolezza di vivere un rapporto indissolubile al di là di ogni ragione. Questo sport, questo mondo, ne è uscito più forte, più solido.

Si badi bene, non era affatto scontato che andasse così. Quel mondo, che già soffriva di crisi interne ed esterne al paddock, avrebbe potuto spaccarsi definitivamente e ci sarebbero voluti un sacco di anni e di pazienza per rimetter insieme i cocci. Sarebbe bastata una figura un po’ meno carismatica di Marco, un personaggio con meno aura attorno a sè, un uomo con meno personalità per mandare tutto catafascio e rompere per sempre il giocattolo.

Invece io credo che la caratura, la forza, il peso specifico del Sic siano ancora più evidenti oggi, quattro anni dopo.
Ecco perchè manca così tanto.
Ecco perchè, qui in Malesia, la cenere non smette più di cadere.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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Spuntature: Marco, quattro anni senza, RTR Sports