La notte di ieri non ha niente a che vedere con la logica, con il raziocinio, con il modo in cui le cose dovrebbero andare. Non si ambienta in un mondo normale e non è dominata da geometrie euclidee, come quelle che conosciamo tutti.
Anzi, quella andata in scena ieri sera all’American Airlines Arena è più la rappresentazione di un sogno, il ritratto a tinte forti di una bella fiaba in cui il buono vince e in cui alla fine della notte, spunta immancabile il sogno. Sia chiaro, non che i Miami Heat siano paragonabili agli orchi cattivi, ma il basket giocato dai NeroArgento è il più immacolato e splendido dei cavalli di razza.
Quello degli Spurs è, ancora una volta, un acquarello a spicchi arancioni di mirabile precisione. Popovich e la compagine texana muovono la palla come un metronomo in attacco, mandando a referto tutti quelli che abbiano un paio di scarpe ai piedi e incasellando 4 giocatori in doppia cifra (Leonard, Duncan, Parker e Mills). E’ una pallacanestro elegante, d’antan, che parte dai fondamentali di squadra e che trova sempre l’uomo libero. Poi, certo, aiuta che gli Spurs tirino col 57 dal campo, ma è una percentuale che nasce dalle scelte di tiro e dal fatto che, come insegnano da piccoli, tira sempre quello libero.
La stella più luminosa nel firmamento della gara 4 di South Beach è ancora una volta Leonard, che oltre ai 20 punti aggiunge 14 rimbalzi, 3 rubate e 3 stoppate. E’ la prima volta che l’uomo da San Diego State, classe 1991, segna più di 20 punti in due partite consecutive, segno della grande fiducia maturata in quest’anno ma anche di una “confidence” generale degli Spurs, che arrivano a Miami affatto preoccupati di essere sulla spiaggia dei Big3.
LeBron, dall’altro lato del campo è ancora una volta mostruoso, 28 e 8, l’ennesima prestazione superba di un giocatore che, senza dubbio alcuno, ringrazieremo di aver visto giocare. E’ un giocatore antitetico rispetto al concetto di pallacanestro prodotto dai texani: James è un atleta superiore e con mani molto educate, che però si costruisce il tiro autonomamente, che poi siano situazioni di 1vs1 o 1vs5 poco importa.
Eppure, lasciato da solo, è costretto ad infrangersi più volte contro la difesa collassata degli Spurs, densa come il miele, privo di compagni altrettanto efficaci. Wade e Bosh mancano l’appuntamento: 22 punti in due, con un misero 8-24 dal campo. Poco, troppo poco per gli Heat, cui manca sale in zucca in posizioni troppo importanti per potere competere ad armi pari. Senza usare giri di parole, Chalmers e Cole non ci capiscono davvero nulla e -sopratutto, vengono disintegrati dal trittico Parker-Green-Ginobili, che li surclassa e in produzione offensiva e in regia.
Non è una debacle, ma quasi, perchè gli Heat (e forse l’intera NBA) si aspettavano una storia completamente diversa da questa Gara4, convinti di riportare la sere in parità ed iniziare dal 2-2 l’estenuante andirivieni fra est e ovest. Non è stato così. Miami pensava di piastrellare fisicamente una squadra vecchia e acciaccata come San Antonio, invece sono stati battuti sul piano emotivo e dell’intelligenza cestistica. Come arrivare alla guerra con i cannoni e vedersi battere dalle pistole ad acqua.
Fu così che venne il giorno.
Domenica LeBron, Wade, Spoelstra e tutta l’armada di South Beach non hanno opportunità. Gli Heat vanno all’AT&T Center con una sicurezza: per vincere occorrerà tirar fuori dal cilindro qualcosa di nuovo e di diverso, se non vogliono uscire malamente da una serie che sulla carta dovevano vincere. Nel frattempo, esultino gli appassionati della pallacanestro: sapere giocare a basket, e saperci giocare bene, con intelligenza ed esperienza è ancora la cosa più bella da fare su un rettangolo di parquet. E chissenefrega dell’età. Per dubbi, citofonare Duncan e Ginobili.
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