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Nike dice sì a Nba

Nasce una nuovo celebre sodalizio sportivo. Le ragioni sono tante anzi tantissime e ve le spiegherò nel corso dell’articolo. Quando mi regalarono la mia prima canottiera Nba mi fu difficile nascondere un pizzico di delusione.
La canotta era, come gran parte delle cose nel mio armadio, usata. Non che la cosa di per sè rappresentasse un problema: solo che già allora era la maglia di un giocatore che aveva smesso una decina abbondante di anni prima. In più il tessuto era differente, più fino e il giallo risultava più sbiadito rispetto alle canottiere dai colori brillanti che vedevo furoreggiare nei campetti a inizio anni 2000. La mia canotta era una replica prodotta dalla “Spalding“, azienda oggi rimasta in Nba ma solo per produrne i palloni, che allora produceva repliche che avevano un mercato minore in un’ Europa non ancora così interessata al campionato di basket americano, che era oltretutto penalizzato da una copertura televisiva sicuramente minore a livello quantitativo e qualitativo.

Scelta della lega

Oggi trovare una canotta Spalding è praticamente impossibile. Nelle ultime decadi la produzione delle divise delle trenta squadre è stata affidata a molte aziende diverse, mentre la popolarità del prodotto Nba è cresciuto su scala globale: si è passati da Reebook a Nike e Champion fino all’attuale Adidas. Occorre ricordare che negli sport americani le singole squadre (o meglio, le singole franchigie) non possono scegliere singolarmente lo sponsor tecnico che più le aggrada. E’ la Lega a stringere un accordo con l’azienda che poi vestirà tutte le franchigie del campionato.

Negli ultimi dieci anni  a occuparsi del layout e della fornitura delle divise del campionato di basket più bello del mondo ci ha pensato Adidas. Quando il contratto tra la multinazionale tedesca e la lega è arrivata agli sgoccioli si è innescata un’asta pazzesca in cui praticamente tutte le grandi aziende di sportwear hanno fatto un’offerta per poter entrare nel business di maglie e pantaloncini. Perchè tanto interesse?

 

Non solo USA

L’ Nba negli ultimi dieci anni è ulteriormente cresciuta grazie soprattutto al fatto che, stagione dopo stagione, il campionato si sia trasformato in un prodotto sempre più vendibile anche fuori dai confini statunitensi, vantaggio che la Nba vanta già da tempo rispetto alle altre grandi leghe. L’Nba è sempre più un marchio globale.

L’Nba fa gola in tempi recenti ancora di più perchè, per la prima volta, si è aperta a una nuova forma di merchandising. Dalla prossima stagione le maglie, finora immacolate, inizieranno a ospitare piccoli sponsor (in alcuni eventi, come l’All Star Game, già ci sono stati i primi tentativi)

Con questi presupposti si è aperta una vera e propria guerra da cui sono emersi due marchi intenzionati ad accaparrarsi il business: Under Armour e Nike. Se sul colosso dell’Oregon c’è poco da dire probabilmente ai nostri lettori europei il nome Under Armour potrebbe risultare ancora un pò esotico. Under Armour è il nuovo che avanza negli States, dove ha superato proprio la stessa Adidas e tra i tanti sportivi a fargli da testimonial c’è anche l’MVP della lega, nonchè uno dei giocatori più marketable, Stephen Wardell Curry.

Come abbiamo detto prima però l’Nba fa sempre più rima con globale e non può permettersi di legarsi a un marchio che, per quanto in crescita, è ancora poco noto in Asia e Europa (pur sponsorizzando un team importante come il Tottenham nel calcio). La scelta è caduta quindi su Nike che, pur non essendo stata la rifornitrice ufficiale negli ultimi dieci anni nella lega, non ha comunque smesso di investire nel basket.

Il peso delle università

Ha vestito gran parte degli atenei, e badate bene che il basket universitario ha un giro di affari non trascurabile negli Stati Uniti. In più ha praticamente messo le sue calzature ai piedi di quasi tutti gli atleti della lega, coinvolgendoli anche in campagne promozionali e sponzorizzando la nazionale statunitense, oltre ad altre diciannove rappresentative. Quando consideriamo Nike nel basket dobbiamo inoltre considerare anche il marchio Jordan. Il marchio, creato dalla leggenda dei parquet col numero 23, è un brand forte che, pur facendo parte del gruppo Nike, è estremamente indipendente e, da solo, smuove molti milioni.

La scelta quindi è caduta sul “baffo” che, anche se non si hanno ancora cifre ufficiali, parrebbe pronta a mettere sul piatto quasi un miliardo di dollari per otto anni, cifra sostanzialmente più alta dell’accordo in essere fino alla prossima stagione, con Adidas che per dieci anni aveva speso “solo” 400 milioni.

A fare gola a Nike, che sta pianificando un restyling dell’immagine di molte franchigie, è soprattutto la possibilità di mettere per la prima volta l’inconfondibile swoosh anche sulle maglie da gioco, oltre che sulle canotte in vendita. Anche in questo caso, proprio per rimarcare l’importanza del marchio Jordan, gli Charlotte Hornets, di proprietà proprio dello stesso Michael Jordan, dovrebbero adottare il marchio dell’azienda fondata dal boss.

Sulla fine che faranno le repliche ufficiali marchiate Champion, diffuse principalmente da noi, vige il silenzio. Probabilmente scompariranno ma questo, come tante altre cose, verrà discusso più avanti. D’altronde la rivoluzione inizia solo dall’autunno del 2017.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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