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Capita così, una domenica pomeriggio, mettendo a posto le cose nell’armadio. Capita come capitano tutte le cose strane, i momenti catartici o gli attimi di sospensione: per caso. La sensazione è quella di un pugno nello stomaco che spalanca un esplodere di farfalle di cartone, deja-vu, memorie al cioccolato e sangue al sapore d’estate. E’ così che la ritrovo, la domenica prima del mio trentesimo compleanno. La maglia numero 55 dei Kings, quella di Jason Williams.

Come per tutti gli oggetti a cui abbiamo dato un senso superiore a quello effettivo, quella maglia è molto più di una maglia, allo stesso modo in cui l’orologio lasciatoci da nostro nonno è più di un orologio o in cui un orso di peluche è più di un semplice pupazzo. E’ un amuleto, una porta spalancata su una dimensione diversa, in cui si paga con altra moneta, in cui tutto torna e in cui quello che siamo risplende al sole della consapevolezza e della serenità.

Paradossalmente, tutti questi oggetti sono per noi immortali e senza tempo: sono stargate che ci accompagnano attraverso i giorni, le settimane, i mesi fino a quando, d’improvviso, non ricompaiono. E’ buffo, dico io, che sia saltata fuori proprio alla vigilia dei trent’anni, una scadenza che mi han detto essere significativa e che pure io non rivesto di alcun senso particolare. E’ saltata fuori come a chiedermi se le ragioni, quelle buone, ci fossero ancora tutte. E sì, sono sempre lì, allora avanti, tutto tranquillo.

Può sembrare un discorso campato per aria, ma spesso ho la paura che le cose che amiamo e di cui ci siamo circondati precipitino in uno stato di apatia, come se si andasse avanti per inerzia, dimenticando la fiammella che ha acceso questa perenne rotazione. Il nostro Big Bang, dove è? Occorre ricordarselo, talvolta, prima che tutti i giorni siano uguali, che tutte le cose abbiano lo stesso sapore, prima che tutto sia d’un grigio inestinguibile. Ci chiediamo sempre chi siamo e dove andiamo, ma temo che la risposta sia legata a doppio filo a chi eravamo e da dove siamo venuti.

Chi a tutto questo risponde “è solo pallacanestro” forse ci conosce poco, o non ci vuole bene affatto.

Quella maglia era la passione per il gioco, il divertimento allo stato puro, il ricordo dei dieci, cento, mille pomeriggi passati al sole d’estate a cercare di passare la palla con un gomito. Se esiste un segno, qualcosa che rappresenta e racchiude quello che siamo e perchè stiamo facendo una certa cosa, il mio amore per il basket è tutto lì dentro. Per me è la maglia di Williams, per qualcuno il VHS di Jordan “Come fly with me”, per altri ancora il canestrino dei Raptors attaccato sopra la porta della camera.

Piccole cose, ognuno ha la sua. Anche a trent’anni.

Emanuele Venturoli
RTR Sports Marketing
Picture from the web

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Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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