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left shark super bowl

Tom Brady, dalla sua, può contare su alcune certezze: quattro Super Bowl vinti, 3 titoli di MVP, una splendida moglie, due bellissimi figli, un conto in banca invidiabile e la rimarchevole consapevolezza di essere a tutti gli effetti la realizzazione del Sogno Americano, con la S e la A maiuscola. Se così non fosse, c’è da scommettere che al sopracitato Brady girerebbero non poco i cosiddetti, a vedersi rubare la scena da uno squalo di pezza incapace di ballare a tempo.

Eppure tant’è, poichè buona parte dell’hype, al Super Bowl di Phoenix e nei giorni successivi, è stata monopolizzata da “Left Shark“, lo squalo azzurro comparso durante l’Half Time Show di Katy Perry e immediatamente divenuto un idolo delle platee digitali, ben più abbondanti di quelle televisive della Partita delle Partite.

E’ una favola tutta moderna, di quelle divertenti, impreviste e improvvise che solo Internet e le coincidenze possono regalare. Dopo il balletto sgraziato del pescione di peluche, in solo una settimana, il “Left Shark” (eh già, perchè quello di destra ballava a tempo e non è stato simpatico a nessuno) si è conquistato copertine del Times, pubblicità su ESPN e addirittura una column sul New Yorker che titola “Diary of the Left Shark“.

Senza volere scendere nei dettagli, poichè di giurisprudenza ne capisco poco , il Left Shark si è pure beccato una causa per violazione di copyright, poichè dopo tanta improvvisa popolarità ci si è posti un dubbio: ma quel costume, chi l’ha disegnato? Chi ne è proprietario? Insomma, l’amore ai tempi del “com’era?”, storie americane di quelle da Guerra dei Roses, in cui si chiamano dozzine di avvocati non appena si vede scintillare un nichelino.

Una cosa è certa: all’interno di un contesto super strutturato, ultra pettinato e mega organizzato come quello del Super Bowl, a fare scalpore è stato proprio un costume da 23$, indossato da uno scadente ballerino incapace di andare a tempo. Stravagante? Beh, non proprio. Più che altro, se possibile, un ribadire Urbi et Orbi che al pubblico queste piccole perle inattese, questi meravigliosi squarci di normalità nel buio fitto della perfezione, piacciono più di tutto il resto. Più delle partite logorate da timeout pubblicitari, più degli inni nazionali cantati in playback, più dei mega palchi holliwoodiani da cui le star del momento lasciano piovere le 5 hit da classifica prima di ritirarsi nei loro camerini. Poi vedi quello squalo, e ti rendi conto che pure lui, di tutto quel frastuono, non mi ha mica capito niente.

A differenza del passato, Internet e il suo popolo impongono le loro preferenze e i loro gusti. Certo, sarebbe sbagliato dire che è il pubblico a decidere cosa vuole vedere, poichè i network, le televisioni e la costruzione canonica degli spettacoli hanno comunque regole ferree e ruoli rilevanti, ma è altresì corretto affermare che -da parte degli organizzatori- non v’è più il controllo assoluto dell’eco mediatica generata.

Non è un dettaglio: è il futuro della comunicazione. Anzi, no, il presente.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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