Sono iniziate, ieri sera. Nello stesso stadio e con la stessa splendida cura del dettaglio nella cerimonia d’apertura. Con le stesse perplessità della vigilia e con le stesse, enormi aspettative. Saranno le più grandi, le più belle, le più seguite. Certo, forse con qualche televisione collegata in meno, forse con qualche titolo in meno sulle prime pagine dei giornali più importanti.

Intanto, come per singolare metafora, sinistro parallelo, anche portare la fiaccola Olimpica al cospetto del braciere approntato all’interno dello Stadio è stata un’impresa titanica. Già, perchè pioggia, guai tecnici e altre sfortune di vario genere hanno fatto temere di dovere trovare altre strade, altre soluzioni persino per la torcia. Cosa facciamo, la cambiamo? Ne prendiamo un’altra?

Macchè, non scherziamo. Qui di impossibile non c’è niente, proprio niente. E quella foto, delle due donne biancovestite in carrozzina mentre portano la fiamma olimpica su un Tower Bridge inzuppato dalla pioggia battente, non ha avuto il successo che meritava.

Fausto Narducci, in un articolo ben redatto sulla Gazzetta Dello Sport di oggi, ricorda agli astanti di non porsi davanti a questi giochi con pietismo, o, peggio ancora, con ipocrisia. Siamo d’accordo: non c’è modo peggiore per affrontare queste paralimpiadi del plasticoso dolore da salotto, del preautunnale compianto da insalata di riso precotta.

Meglio guardarle allora con gli occhi innocenti del bambino che, di fronte ad una gara di Road Cycling, dice al papà: “come vanno forte quei signori su quella strana bicicletta”. Già, proprio forte.

Forse non siamo pronti, ancora. Le Paralimpiadi, probabilmente, non sono ancora per tutti. Non ne cogliamo del tutto il senso: continuiamo a pensarle come uno strano spettacolo sociale, un momento caritatevole, e non come a un incredibile momento di sport. Vediamo lo sforzo emotivo di superare la difficoltà, la passione e l’orgoglio di sapere andare avanti, ma non riconosciamo la perfezione del gesto tecnico, non ne apprezziamo appieno la sfumatura tattica. Eppure è strano, perchè questo paese di allenatori da bar ci ha talmente abituati a ciacarare di moduli e preparazioni e condizione atletica che dovremmo essere a nostro agio, come lo siamo stati durante le Olimpiadi, a discutere di corretto rilascio e di ampiezza della bracciata.

Forse non siamo pronti, e allora meglio il silenzio. Se dobbiam star qui a parlare di quanto siano grandi e forti questi uomini, senza mai ricordare che atleti straordinari essi siano in senso assoluto e non con ridicoli paragoni fra improbabili insiemi cartesiani, bene, allora meglio il silenzio.

Non tanto per la loro dignità, che è sana e salva e certo non abbisogna del nostro apporto. Ma per la nostra.

By Emanuele Venturoli - RTR Sports Marketing
Nella foto: il Team GB delle Paralimpiadi
Picture courtesy of Adidas