Il Consumatore nel Marketing Sportivo
Come ben sanno coloro che frequentano abitualmente le pagine di questo blog o si interessano assiduamente di marketing, quello del marketing sportivo è un terreno d’azione dai confini generalmente distinti da quello di ogni altra specialità del marketing.
Cos’è il Marketing Sportivo?
Proviamo a dare una spiegazione della definizione di marketing sportivo. Le spiegazioni a questo semplice assunto possono essere certamente ampie e stratificate, e non è certo il caso di affrontare in questo articolo tutte le specificità dello sport. Sintetizziamo dunque, mutuando una definizione di Mullin e Hardy (2014) dicendo che “il marketing sportivo è differente da qualsiasi altro tipo di marketing poichè per gli esseri umani lo sport ha un significato sociologico, culturale ed emotivo profondamente diverso da qualsiasi altro tipo di prodotto o servizio“.
Proprio da questo assioma, necessariamente semplicistico a fini di sintesi, nasce un altro corollario assai importante: il comportamento dei consumatori nei confronti dello Sport è integralmente diverso dal Consumer Behavior classicamente inteso.
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Sia che si operi nel marketing sportivo dalla parte delle squadre, degli atleti, delle agenzie o delle aziende che utilizzano lo sport per comunicare, è bene approfondire il modo in cui il consumatore finale si approccia -e poi decide, consuma, insomma si comporta- nei confronti dell’oggetto sportivo, della pratica sportiva o del consumo sportivo in sè.
Come è facile intuire, poichè la comprensione di questo concetto è palese e sotto gli occhi di tutti quotidianamente, il consumatore si avvicina allo sport differentemente da quanto fa con un’assicurazione, una barretta di sapone, un frullatore o un pacco di biscotti.
Decision Making
…e Marketing Sportivo
Per introdurre dunque il processo del decision Making e del Consumer Behavior nel marketing sportivo, la cosa più semplice è quella di mutuare -sempre dall’ottimo lavoro di Mullin e Hardy– uno schema che possa riassumere le varie fasi del processo decisionale. Come tutti i modelli, neppure questo schema ha velleità di esaustività, ma è un eccellente punto di partenza per dare conto di tutte le sfaccettature di questo importante percorso.
Centro di questo modello è la triplice partizione fra Socialization, Involvement e Committment nello sport (ovvero la socializzazione, la partecipazione e infine l’impegno nel consumo del prodotto sportivo). Come sarà evidente, questo fulcro centrale non è che il risultato di un decision-making del consumatore, ovvero il punto di arrivo di un processo che porta l’individuo ad avvicinarci progressivamente al prodotto.
A questo nodo centrale, che è il consumo, si arriva tramite due ordini di fattori: quelli ambientali (environmental) e quelli individuali (individuali). Nelle righe che seguono ci occuperemo dei fattori ambientali, mentre tratteremo di quelli individuali in un prossimo approfondimento.
Decision Making Process: i Fattori Ambientali
La zona grigia in alto a destra di questo rettangolo è composta dalle Environmental Influences, ovvero dai fattori ambientali, o per dirla in termini più sociologici “eterodiretti”. Questi sono quegli elementi in cui il soggetto preso in considerazione è immerso: questi fattori nascono da fuori ma, come si evince dalle frecce che entrano ed escono dall’area grigia, vengono lentamente assorbiti e modificati dalle influenze individuali, di cui si parlerà in seguito.
Il primo elemento dei fattori ambientali da prendere in considerazione è certamente quello dei Significant Others, termine anglosassone che non si limita alle relazioni sentimentali ma che comprende tutte quelle persone significative per il soggetto. Per dirla in termini di marketing: gli stakeholders. È evidente a tutti come, specie nell’infanzia o nell’adolescenza, sia proprio da questi significant others che parte l’avvicinamento allo sport. Dal papà che guarda le partite in televisione la domenica, alla sorella maggiore che torna dalla palestra, ai compagni di scuola che vanno a giocare a calcio dopo le lezioni, è talmente normale per noi che qualcuno ci avvicini allo sport che non ce ne rendiamo quasi più conto. Eppure, in termini di marketing, di vendite e di professionalismi, tutto questo ha riflessioni importanti su KPI decisivi come ad esempio l’attendance agli stadi. Le ricerche dimostrano che solo il 4% di chi va ad una partita allo stadio ci va da solo. Nel restante 96%, quindi la pressochè totalità dei casi, è possibile che ci si faccia accompagnare da un amico, dalla fidanzata, dai genitori o che si vada con i propri figli. È ora già più chiaro come questo si possa tradurre in termini più monetari: sarà molto più facile vendere un pacchetto “famiglia”, comprensivo di posti a sedere, parcheggio e cena, di quanto non sarà fare per un biglietto singolo, standalone.
Procedendo verso destra, sempre all’interno dell’area grigia in alto, troviamo “Market Behavior delle sport firms:5p“, ovvero il modo in cui lo sport stesso (e tutte le aziende, properties, companies e partecipanti) comunica con il mondo, e quindi con il soggetto. E non è difficile vedere immediatamente che, proprio per le sue proprietà emozionali e profondamente intime, lo sport comunica in quantità e modi molto differenti dal resto del mondo. A differenza di altri modelli di marketing, che si basano sulle famose 4P Kotleriane, lo sport ha una P in più, quella delle Public relation (inizialmente inserita da Kotler nella P della Promotion). Questo nasce dal fatto che, a differenza delle sopraccitata busta di biscotti, lo sport fa parlare di sè molto più di quanto parli di sè. Giornali sportivi, trasmissioni dedicate, cartelloni pubblicitari con testimonial sportivi, luoghi appositi nei centri cittadini danno già di per sè una buona misura della potenza dello sport a livello di volume di comunicazione. Null’altro, neppure la tecnologia o la politica, o l’economia o la musica, circonda nell’epoca moderna il soggetto quanto lo sport. Di nuovo: cosa significa questo in termini di marketing e di strategia? Che certamente lo sport ha una influenza molto superiore al resto quando si tratta di parlare al consumatore. Ma anche che ogni buon marketer dovrà vedersela con una concorrenza agguerrita e amplissima, se vorrà spuntarla.
I fattori denominati “Cultural Norms and Values“, ovvero e le norme e i valori propri di ogni cultura danno -se mai ce ne fosse bisogno- un’ulteriore giusta misura della trasversalità, della complessità e della profondità del ragionamento che deve sottendere qualsiasi strategia legata allo sport. Per spiegare questo concetto, ovviamente amplissimo, portiamo un esempio. I mondiali di calcio del Sud Africa del 2010 hanno avuto (dati FIFA) un television coverage per single minute di 3,2 Miliardi. Questo sta ad indicare che, nella totalità di tutta la Coppa del Mondo, 3,2 Miliardi di persone hanno visto in televisione almeno un minuto di trasmissione delle partite. Senza scomodare la calcolatrice, significa che -approssimando- almeno la metà dell’intera popolazione mondiale ha visto un minuto di Mondiali. Oltre allo stupore che una cifra del genere non può mancare di suscitare, questo significa che lo sport e la sua trasversalità valicano quelli che sono i normali confini socio culturali che ogni azienda (di nuovo, o property, o Team, o brand) si deve trovare ad affrontare nella sua vita quotidiana. Perchè certamente, un ragazzino indiano di 13 anni, un bambino africano, un businessman giapponese e uno studente di college britannico possono tutti amare il calcio allo stesso modo (e magari, perchè no, praticarlo), ma è evidente che bisogna parlare loro tenendo conto delle loro differenze di “norms and values”. Questo si traduce ancora meglio, in termini di marketing, quando si pensa al lavoro delle agenzie e degli organizzatori che debbono preparare eventi simili. Come si può comunicare bene e contemporaneamente al ragazzino indiano, al businessman giapponese e all’operaio andino? È anche per questo che agli organizzatori di Londra 2012 era stato fornito un succoso prontuario delle basilari norme culturali del mondo per potersi muovere al meglio nella cultura infinita delle Olimpiadi. In questo volumetto erano contenute centinaia di pagine di attenzioni e piccole cure (talvolta anche necessariamente stereotipate) sul fatto che gli italiani gesticolano mentre parlano, i britannici non amano essere interrogati sulle faccende economiche, i giapponesi nn tollerano gli starnuti in pubblico e via discorrendo…
Il consumatore si approccia allo sport anche attraverso la provenienza geografica. Questo è un elemento importante da prendere in considerazione quando si comunica attraverso lo sport e si esamina il comportamento del consumatore nel marketing sportivo.
Infine, per comprendere appieno i fenomeni eterodiretti che influenzano il comportamento del consumatore nel marketing sportivo, è impossibile non parlare di Razza, Genere e Classe. Benchè questi temi vengano spesso -e scioccamente- ritenuti tabù, non vi è ragione per non tentare di dare un quadro e una visione scientifica ed oggettiva di fenomeni largamente riscontrabili e diffusi. Non si tratta del fatto, come si suole credere, che determinati comportamenti siano una questione di mera tradizione, ma piuttosto che nascano da elementi fondati, presenti e statisticamente rilevabili: insomma, è evidente che Razza, Genere e Classe, ed è da includere anche la provenienza geografica, siano molto rilevanti nel modo in cui ogni consumatore si approccia allo sport. A onor del vero, infatti, non può essere un caso che gli scandinavi siano eccellenti piloti di rally, che il golf sia considerato uno “sport per ricchi”, che un messicano giochi a calcio piuttosto che a hockey e che football americano, pallacanestro e 100 metri piani siano dominati da atleti di colore.