Su “Repubblica” di stamane Fabrizio Bocca -che è penna brillante e persona informata sui temi in questione- costruisce un vivace e ben argomentato acquarello sulla crisi dei due sport più amati dagli italiani, il pallone e la Formula 1. La colonna di Bocca arriva il giorno successivo a un gran premio di Monza dominato dalle Mercedes di Hamilton e Rosberg e all’alba della nuova era Conte della nazionale azzurra.
La lettura del blog di Bocca, che si titola appunto Bloooooog, è parte quotidiana della mia rassegna stampa personale: vi si trova sempre un commento arguto, ben redatto e -ribadisco- consigliatissimo a chi ami lo sport e il giornalismo sportivo. Proprio dall’articolo odierno, tuttavia, voglio prendere le mosse per queste righe del lunedì. Lo sport non è in crisi, noi lo siamo: il distinguo è importante.
Noi Italiani abbiamo una singolare tendenza alla metonimia italocentrica. Siamo ossessionati dalla “parte per il tutto”, convinti sempre che se qualcosa succede nel nostrano hic et nunc allora debba per forza di cose trattarsi di un’epidemia endemica generale e onnicomprensiva. Se a questo si aggiunge la passione nazionalpopolare per il concetto di “crisi”, allora la frittata è fatta: giornali e TG ce l’hanno ripetuto con tale accanimento che, oltre a perderne il senso, ora vediamo crisi ovunque. Il significato di “crisi” infatti non ha nulla o quasi a che fare con l’abisso e la disgrazia cui ci hanno abituati; la parola nasce dal greco κρίσις, Krìsìs, ovvero “momento della decisione” e rappresenta, nè più nè meno, un momento di cambiamento storico in cui agli uomini forti si chiede di compiere una scelta per guidare l’imminente futuro. Certo, non è una precisazione che ci salverà la vita, ma certamente la faccenda assume un senso meno traumatico.
Sportivamente parlando (ma immagino che potremmo estendere), queste due questioni si risolvono in un abbaglio collettivo che confonde la crisi con il campanile; un effetto Fata Morgana che -come vuole la scienza ottica- ci fa troppo spesso vedere le cose capovolte. Siamo profondamente convinti, ad esempio, che Calcio e Formula Uno siano in crisi, quando questo non è vero.
Il calcio è tutto fuorchè in crisi: è il nostro sistema calcio che fa acqua da tutte le parti. La Formula 1 non è in crisi: è semplicemente la Ferrari che non vince. Andatelo a dire ai tedeschi o agli inglesi che pallone e automobilismo sono in crisi, e vediamo a quanti chilometri si sente la risata. Insomma, finchè non usciremo appunto da questo equivoco, anche lessicalmente, ci sarà ancora più dura comprendere le ragioni degli insuccessi tricolore.
Fino a quando non riusciremo a sciogliere la visione del campanile (o del cuore, se preferite) da una visione oggettiva della storia, quello che rimarrà sarà polemica salottifera con poco sugo e molto livore, con poche idee al servizio del problema. Ha ragione il buon Bocca a dire che i soldi servono ma non bastano: i danari vanno messi a disposizione di menti pronte, di brav’uomini ma sopratutto di uomini bravi. E non necessariamente queste ultime due categorie sono sinonimie.
Si prenda il calcio, ad esempio. Il pallone, come si diceva, non è in crisi e anzi sta meglio che mai. L’Italia non è uscita dal mondiale ai gironi per colpa della crisi: è uscita perchè da anni non possediamo stadi di proprietà delle squadre, perchè tolleriamo un clima di violenza attorno alle tifoserie, perchè non sappiamo tenere i conti in ordine e perchè “giovani” e “futuro” sono due belle parole usate solo per i proclami pre-elettorali. Management, si usava dire negli anni 90, poi forse è passata di moda.
Lo stesso discorso vale per la F1: all’annuncio dei motori ibridi, Mercedes ha investito una quantità ingentissima di capitale in ricerca e sviluppo, consci del fatto che i motori delle frecce d’argento odierne saranno i propulsori delle stradali del futuro. L’investimento ha pagato, come dicono sia la classifica mondiale, sia il contachilometri sul dritto di Monza ieri. Segno del fatto che la crisi non è mai di tutti, ma solo di qualcuno.
A proposito di ieri. Da Cernobbio, Marchionne -ancora prima di vedere i risultati della rossa in gara- aveva ricordato che non interessa nè a lui, nè alla Ferrari, nè alla FIAT avere due piloti pagati profumatamente che partono settimo e dodicesimo nel Gran Premio di casa. Ha inoltre fatto presente, spolverando il vecchio detto e facendo esplicito riferimento a Montezemolo, che tutti sono importanti ma che nessuno è necessario. Probabilmente le dimissioni dell’ex Italia90 ed ex Juve saranno sul tavolo di Torino già giovedì, ma chiedersi se basterà cambiare l’allenatore per far tornare a vincere la squadra è lecito.
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