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Mark-webber-2013

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Mark Webber, l’uomo al volante della seconda macchina più veloce del pianeta, si toglie il casco durante il giro di rientro ai box. Nel giorno della sua ultima gara, gli ultimi tre chilometri vuole goderseli così, col vento sulla faccia e l’aria fresca del Brasile a scompigliargli i capelli. E’ qualcosa che non si era mai visto prima. Un gesto onesto, fresco, che come d’incanto disintegra la barriera millenaria e spessissima del pilota-robot, coperto da un’armatura dentro il suo meraviglioso destriero metallico. E’ un gesto umano e sopratutto liberatorio, del soldato spossato e ammaccato che toglie l’elmo mentre rientra, per l’ultima volta, alla base. Si gode il panorama, Mark, senza il casco e al volante del suo Toro nelle ultime curve. Da qui, adesso, non è un pilota, ma solo un uomo. Come il Cristo di San Paolo, che con lo sguardo immobile cerca il suo simile sulla costa portoghese, così anche Webber ha gli occhi fissi sul vuoto, nella speranza che di là ci sia qualcuno che lo aspetti a braccia aperte.

Non ha avuto pietà Sebastian Vettel, l’uomo al volante della macchina più veloce del pianeta, neppure all’ultimo atto. Non ha fatto sconti nè errori, non ha concesso al compagno di scuderia il trionfo nell’ultimo giorno, ha vinto come ha detto che avrebbe fatto, incurante dell’addio dell’australiano. Non ha pagato omaggio, non ha cambiato una virgola nel suo ruolino perfetto, instancabile, distantissimo. Quota tredici, nove in fila, con la storia dei motori che si inchina incredula a chi, a 26 anni, ha già praticamente vinto più di tutto. Anche ieri impeccabile Seb, con l’unico sussulto al cuore fornito dai meccanici Red Bull ai box, giunti all’appuntamento con il campionissimo con una gomma in meno.

Quello di Webber, tornando al Sancho Panza di giornata, è infine il gesto di tutto il circus iridato. Come l’australiano, tutti non vedevano l’ora di togliersi il casco e prendere un po’ d’aria (tranne Vettel, supponiamo), dopo una stagione asfittica e dal finale battuto al matterello, livellato come un prato inglese dal tosaerba austro-britannico.

E’ il gesto di Felipe Massa, scudiero senza gloria del cavallino, che sperava in una giornata di grazia davanti al suo pubblico e che invece finisce la sua avventura in rosso con un drive-through immeritato (perchè se uno piazza l’entrata della corsia box in traiettoria di curva diventa complicato non passarci sopra) che butta alle ortiche una gara più che lodevole.

E’ il gesto di Lewis Hamilton, che quando la sua scuderia gli dice di star calmo e usar la testa finisce contro Bottas, disintegra una gomma e polverizza le chance di acciuffare il terzo posto nel campionato piloti.

E’ il gesto di Romain Grosjean, forse l’uomo più in crescita di tutta la seconda parte di stagione, la cui Lotus dura giri 3 prima di affumicare motore e speranzo di Boullier di portare a casa punti importanti dopo i “pagherò” a Kimi.

Infine, ma solo per ordine d’elenco, è il gesto di Fernando Alonso e di tutta la Ferrari, una squadra che nell’anno che doveva essere del trionfo è stata beffata da ben due altre casate. Rosso pallido, come già detto su queste pagine, tenuto vivo solo dalle zampate domenicali dell’asturiano, bastonato regolarmente al sabato da vetture più prestanti e progetti più lungimiranti.

Chi dice che è ora di pensare al 2014, sbaglia. Occorre qualche giorno senza casco, con l’aria fresca in volto, per schiarirsi davvero le idee e pensare in grande senza guardare nel microscopio di un profilo aerodinamico. Cambieranno i regolamenti, questo è certo, ma non è detto che cambi la musica o gli orchestrali sul palco. Occorre qualche giorno senza casco per godersi il finale, dolce o amaro che sia.

Perchè quest’anno, arrivati in cima, ci si è accorti che manca l’aria.

Emanuele Venturoli
RTR Sports Marketing
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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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