La rivoluzione Industriale
Durante la Rivoluzione Industriale l’invenzione di macchinari atti a semplificare il lavoro nelle fabbriche non fu salutata con entusiasmo da una cospicua parte della classe operaia. Molti, infatti, pensavano che macchine come il telaio meccanico nascessero con l’intento di sostituire il lavoratore e farne diminuire l’importanza sul posto di lavoro. Da questi presupposti nacque il movimento luddista, che cercava in tutti i modi di screditare le macchine che, si diceva, mai e poi mai avrebbero potuto fare un lavoro come un essere umano. Era la fine del XVII secolo.
Tecnologia e calcio
Nel 2017 la tecnologia è entrata nelle nostre vite al punto che anche la maggior parte delle conversazioni rischierebbero di non esistere se non si potesse contare sull’aiuto di un qualche ausilio tecnologico, almeno in parte discendente da quei macchinari di notevoli dimensioni. Tuttavia esiste un campo dove si è ancora refrattari all’introduzione della tecnologia: il calcio. Sui giornali, in quest’inizio di campionato, a prendersi le prime pagine non è stato nessun fantasista brasiliano, nessun funambolico puntero argentino. Le prime pagine erano tutte per un altro fenomeno dal nome breve, che ricordava una tassa e forse per questo non piaceva a tutti: VAR.
Senza voler entrare nel dibattito sull’efficacia o meno dell'”arbitro a distanza” (non è questa la sede) non possiamo esimerci dal rilevare come il nuovo giocattolo abbia già iniziato a cambiare la figura dell’arbitro. Fino a ieri l’arbitro manteneva in campo una certa sacralità: era il giudice supremo, l’unico cui appellarsi. Gli uomini col fischietto erano dei pagani e, esattamente come quelli greci, erano fallibili e capricciosi. Da quando però è arrivata la macchina fatta apposta per semplificarne il lavoro, i fischietti sembrano aver quasi perso il loro potere. Sicuramente hanno perso appeal.
Sarà molto difficile in futuro che un arbitro possa diventare riconoscibile al grande pubblico. Quasi imposibile che l’arbitro possa addirittura travalicare i limiti del campo da gioco per diventare icona universalmente riconosciuta.
Il Caso Collina
Tra qualche anno racconteremo con nostalgia di quando, da ragazzini, tutti conoscevamo Pierluigi Collina. Collina era “l’arbitro”, un volto riconoscibile anche per chi non masticasse calcio. In anni in cui l’arbitro balzava agli onori delle cronache essenzialmente per i suoi errori (più o meno in buona fede), Collina era universalmente riconosciuto come il miglior giudice possibile di qualunque controversia accadesse su un campo da calcio.
Se però tutti ricordiamo Collina non è solo per la sua indiscutibile bravura. Il viso di Collina era familiare a tutti perchè non faceva fatica a restarti impresso. Sui campi da calcio già ai tempi di Collina si vedeva una crescente omologazione: i calciatori avevano tutti lo stesso taglio, le stesse scarpe, lo stesso modo di esultare. Collina in questo contesto sembrava un alieno, un uomo comune finito per sbaglio a vigilare sul corretto andamento di uno scontro tra gladiatori (tutti somiglianti tra loro nella loro sguaiata tamarragine). Alcune caratteristiche fisiche poi, contribuivano a rendere il fischietto immediatamente riconoscibile. L’alopecia e i grandi occhi azzurri (spesso spalancati) contribuivano a renderlo una sorta di personalizzazione di quei concetti di pulizia e purezza che nell’immaginario collettivo si tendono a associare al ruolo del direttore di gara.
Il mondo fuori dal rettangolo da gioco si accorse del potenziale come personaggio pubblico di Collina che, a metà anni 2000, finì per diventare testimonial di marchi che poco avevano a che fare col calcio. Collina era definitivamente diventato riconoscibile alla stregua dei grandi campioni del pallone. Esemplificativo in questo senso il fatto che la giapponese Konami decise di mettere il faccione di Collina sulla copertina del terzo episodio della sua celeberrima serie di videogiochi dedicati al calcio: Pro Evolution Soccer o, per almeno due generazioni, semplicemente PES. Il connubio riuscì a tal punto che anche in un paio di edizioni successive Collina mantenne il suo ruolo, facendo bella mostra di sè affiancato dalle più grandi icone del pallone: gente come Totti o Henry. In futuro, forse, vedremo Neymar e Icardi sulla copertina in compagnia di un monitor della Var ma difficilmente rivedremo il faccione di un arbitro. Perchè? Perchè l’arbitro è (e sarà) sempre meno visibile e una comparsa non può essere il testimonial di un prodotto. Sarebbe come se si decidesse di puntare per il battage pubblicitario di Game of Thrones su uno dei personaggi ammazzati senza troppi complimenti da John Snow piuttosto che concentrarsi sull’iconica e amata figura dello stesso Giovanni Neve.
Quando ormai ci eravamo rassegnati al fatto che la figura di Collina fosse destinata solo a diventare materiale per quella stucchevole nostalgia calcistica che prolifera sui social a riesumare l’appeal del fischietto bolognese ci hanno pensato dei ragazzi di New York.
Tens Club è il nome di un gruppo di creativi con base nella Grande Mela che, il giorno 10 di ogni mese, invia agli iscritti alla loro newsletter le foto delle ultime creazioni. Si tratta di capi d’abbigliamento anche acquistabili e sempre fantasiosi. Non è un caso che, sul loro sito, i ragazzi definiscano Tens Club un progetto “per creatori e cospiratori”. Nel mese di agosto hanno recapitato nelle caselle postali di chi li segue le foto di due “Referee Jersey” dedicate all’indimenticato arbitro italiano. Il gruppo di creativi guidato da Lukas Shanks ha realizzato due stilossissime polo, ispirate nel design alle maglie indossate dai direttori di gara negli anni a cavallo tra la seconda metà anni 90 e la prima metà degli anni 2000: Sono infatti a righe e disponibili in due colori: gialle con strisce nere o nere con strisce bianche. L’unico vezzo è il numero dieci posto sulla schiena ma, in fondo, parliamo di un collettivo che ha deciso di chiamarsi “TENS CLUB”. Il richiamo a Collina è esplicito visto che sul taschino, quasi fossero uno “scudetto”, trovano posto gli iconici occhi azzurri e vagamente spiritati propri dell’ ex arbitro italiano.
Si tratta di una incredibile e inattesa certificazione di quanto Collina ancora oggi sia popolare, anche in paesi che non considerano il calcio lo sport nazionale, come gli USA. L’opera di Tens Club ci ricorda che la nostalgia può stimolare la creatività e non solo diventare benzina per corroborare discutibili ipotesi sui social (tipo la teoria che il legnoso Cleto Polonia avrebbe fatto impallidire i vari Miranda, Bonucci e Chiellini). Collina, da parte sua, sarà sicuramente felice di aver ricordato, una volta di più, che un arbitro può essere visto come qualcosa di più di un semplice cornuto.
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