Prendete un allenatore: italiano, attaccante estroso, con un carattere a dir poco difficile. Tifoso della Lazio, per meglio dire ultrà; da ragazzino in trasferta al seguito dei “suoi” biancoazzurri, di nascosto per non rischiare una lavata di capo dall’allenatore delle giovanili.
È Paolo Di Canio, 45 anni nel prossimo mese di luglio, un uomo che da calciatore ha fatto sognare, sbraitare, indignare.
Una volta smessi i panni di atleta, si è seduto in panchina. Non nella sua patria, ma in una nazione che l’ha adottato e dove, probabilmente, Di Canio si sente a casa. In Inghilterra è approdato nuovamente, dopo i trascorsi sul campo, come manager allo Swindon Town FC, club di una cittadina a nord-est di Bath. Un posto strano, famoso per i treni e una cervellotica gigantesca rotatoria (la Magic Roundabout) nel cuore del centro-sud britannico. Un un nome che ancora oggi, se pronunciato, fa diventare bianchi i capelli ai fans dell’Arsenal, riportando a galla le ferite che l’allora semi sconosciuta squadra di Third Division, provocò ai gunners nel 1969. Contro lo Swindon l’Arsenal ci ha perso a Wembley (per 3-1) niente meno che una finale di League Cup. Chiedere a Nick Hornby, ne parla nel suo Febbre a 90°, per informazioni.
Paolo Di Canio, temperamento e carattere da vendere, ci ha messo poco a conquistare il cuore dei supporters di casa. Lo ha fatto con il carisma e la nomea di politically uncorrect che si trascina da quando, appena 21enne, dopo un gol ai rivali della Roma in un infuocato derby ebbe l’idea di correre, indice al cielo, sotto la sud giallorossa ammutolita e attonita. A voler dire: “Zitti tutti, qui adesso comando io e sono della Lazio”. Ha fatto innamorare una tifoseria intera soprattutto con i risultati: primo posto in Football League 2 nella stagione 2011/12 e promozione all’esordio da manager. Nel campionato in corso, i playoff a un solo punto di margine e la ferma convinzione di potercela fare di nuovo.
Peccato, però, che lo Swindon Town non navighi in buone acque, sul piano finanziario. Il proprietario del club pare non possa permettersi ulteriori esborsi, in un mese di gennaio caratterizzato dalla riapertura del calciomercato. Ecco dunque che alcuni tra i calciatori più importanti saranno costretti a tornare nelle società di appartenenza se persisterà l’impossibilità di rinnovare il loro prestito. Di Canio non ci sta, anzi tuona: “Farò di tutto per farli restare, a costo anche di tirar fuori i soldi di tasca mia. Sarò forse meno ricco quando morirò, non venderò certo le mie proprietà in Italia ma sono pronto a trattenere così i miei giocatori; con loro possiamo vincere. E poi, ho speso un patrimonio per avvocati, non esiste che non possa farlo per i miei ragazzi”.
Il colpo è ancora una volta da maestro, come una palla in buca nella fase topica di una gara a biliardo. Un po’ come quel dito puntato verso i tifosi della Roma nel 1989, o come le liti con Capello, lo spintone all’arbitro in una memorabile gara tra le fila dello Sheffield, il gesto di fair play dopo una decina di partite di squalifica che gli valse le copertine di mezzo mondo.
Sir Di Canio ha parlato, dando (per ora a parole) una nuova lezione di romanticismo e valori che nel football d’oggi si vedono col contagocce. Per giunta, nella città che fece piangere i gunners nel 1969 e che sogna, oggi, di ripetere il miracolo.
Quando si dice fare (personal) branding.
By Marco Lorenzi – RTR Sports Marketing Contributor
Nelle foto: Di Canio allo Swindon, il logo dello Swindon Town FC
Pictures from the web
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