In Formula 1
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Il terrificante incidente di Jules Bianchi durante il Gran Premio di Suzuka impone al mondo della Formula 1 e a tutti gli addetti ai lavori una riflessione che, dal mio punto di vista, non può essere che duplice. Da un lato, ed in senso stretto, occorre che la massima serie delle ruote scoperte si dia nuove e più stringenti regole circa quello che deve succedere in caso di incidente. In seconda istanza, è indispensabile che si smetta di parlare di sicurezza solo quando accadono disgrazie come quella del giovane e talentuoso francese.
Partiamo dal principio. La gara di Suzuka ha fatto rapidamente sorgere una questione riguardante l’obbligatorietà o meno della Saftey Car in caso di incidente. Jacques Villeneuve, Campione del Mondo 1997 che ha corso e vinto molto in America, non ci ha messo molto a far sapere come la pensasse: Saftey Car fuori ad ogni incidente, piccolo o grande che sia. E’ una teoria rigida e tendente alla monotonia, ma anche ricca di pregi, in quanto toglie i commissari da una decisione soggettiva ogni volta che accade qualcosa in pista e favorisce lo spettacolo riavvicinando tutti i piloti. E’ un rimedio estremo, certo, ma anche l’unico che potrebbe limitare disastri come quello di Suzuka, dal momento che le bandiere hanno poco o limitato effetto sui piloti. A differenza della Safety Car, la cui velocità è stabilità all’inizio del weekend di gara, le bandiere non impongono un limite fisso alle monoposto, comunicando semplicemente un pericolo nelle vicinanze.
Tuttavia, specie in un sistema televisivizzato come quello della Formula 1 moderna, la Safety Car appare strumento demodè e poco efficace. Ogni qualvolta la SC scende in pista infatti, impiega diversi giri a compattare il gruppo dei partecipanti e -sopratutto- costringe i doppiati a sdoppiarsi, girando a velocità elevate per percorrere tutto il circuito fino a trovarsi di nuovo in coda al gruppo. Infine, come si è chiaramente visto a Suzuka, la Saftey Car necessita di un processo decisionale e di attivazione lungo e laborioso sia nel momento dell’entrata che nel momento dell’uscita, tanto da far esclamare in diretta mondiale a Lewis Hamilton via team radio “Charlie (Whiting, direttore di corsa, Ndr) la pista è a posto, puoi togliercela da davanti, corriamo”.
La soluzione potrebbe essere quella di una Saftey Car virtuale, o di uno Speed Delta, una sorta di limitatore di velocità simile a quello della Pit Lane a cui i piloti dovrebbero necessariamente attenersi in regime di bandiera gialla. Lo speed delta consentirebbe così a tutti i partecipanti di mantenere inalterati i distacchi dalle altre monoposto, consentendo sicurezza a tutti coloro che lavorano sulla pista. E’ una Safety Car “virtuale” nel senso che fa quello che farebbe una SC, ovvero costringere il gruppo a procedere ad una velocità stabilita, ma non abbisogna dei tempi e delle lungaggini di una Safety Car tradizionale.
Quello dei commissari, inoltre, è un altro tema che può e deve essere affrontato. Si sta in questi giorni discutendo della possibilità di rendere i “marshall” sui circuiti figure ufficiali e stabili, che seguono il mondiale in tutte le sue tappe, e che godono di una formazione specializzata e a 360°, atta a renderli dei professionisti della sicurezza sui circuiti.
Come ben si può vedere, e passo rapidamente al punto numero due, i temi sono tanti, variopinti e sfaccettati e debbono necessariamente essere affrontati non con spirito da Bar Sport ma cono coscienza di causa. Chi pensa che si possano impiegare due minuti e lascia, come dal salumiere, a salvaguardare la vita di un pilota e dei suoi colleghi è il primo e più pericoloso nemico della sicurezza nel motorsport. Nelle ore successive all’incidente di Jules si sono udite tante, tantissime voci levarsi domandando, pardon, demandando una soluzione rapida, univoca e definitiva al problema dei pericoli dell’automobilismo. Queste voci, che sono tanto più energiche quanto rapide nello spegnersi quando l’accaduto non è più di gran moda, non fanno bene al motorsport e non fanno bene allo sport in generale. Anzi, esse rappresentano quella ruspa del qualunquismo in agguato dietro alla traiettoria del buon senso e del buon lavoro.
Occorre affrontare l’argomento seriamente, professionalmente, senza inquinare l’aria e l’opinione pubblica con ragionamenti sornioni e demagogismi da pizzeria. Occorre parlare di sicurezza in maniera razionale e consapevole, consci dell’immenso lavoro che la F1 ha fatto negli anni per giungere a progressi eccellenti di cui le nostre stesse vetture stradali si dotano oggigiorno. Occorre -infine- parlare con rispetto di quel che è successo a Jules, a un ragazzo che inseguiva il proprio sogno, e fare in modo che ogni parola serva perchè tutto questo non si ripeta più.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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