Se le noie meccaniche non avessero fermato Sebastian Vettel, molto probabilmente la Ferrari avrebbe vinto con mezza gara di distacco il Gran Premio della Malesia di ieri. Se altre noie di ordine tecnico non avessero impedito a Kimi Raikkonen di ritirarsi dal Gran Premio di Sepang, lasciando la prima fila, forse avremmo assistito a una doppietta della casa di Maranello. Se ci fosse stata una safety car. Se fosse stato meno clemente il meteo. Se non ci fossero gli autoscontri solo quando ci sono i cavallini in mezzo. Se ogni tanto pure agli altri si scassasse qualcosa.
GP di Malesia di F1
Invece, con il proverbiale filo di gas la vince Max Verstappen, che giusto ieri ha festeggiato il compleanno numero 20 e che firma così la sua vittoria numero due nella massima serie dell’automobilismo. A dispetto dell’età, l’olandesino porta a casa la vittoria in grande stile, dimenticato da regia e telecamere e sempre garbatamente lontano da ogni genere di inconveniente. Al contrario, impiega un paio di tornate per liberarsi della seccature di superare Lewis Hamilton e poi si gode il paesaggio malesiano, visto che è anche l’ultima volta che può farlo su questa pista. C’è poco da dire su Verstappen: quando il contenuto del casco è collegato al resto del pilota, è impossibile non ammettere di essere davanti ad uno dei più straordinari talenti che questo sport abbia prodotto nelle ultime tre decadi.
Il Gran Premio di Sepang di Formula 1….
Dietro, come sempre, il Gran Premio ha un’altra faccia e un’altro sapore, con Vettel costretto a partire dall’ultima casella della griglia a causa della sostituzione del motore e l’altra Ferrari costretta a non partire affatto dopo alcuni fastidi, forse della stessa natura. Il Sebastiano nazionale la guida come se l’avesse rubata e, in men che non si dica, è poco dietro ai primi. Va talmente forte che ad un certo punto l’idea che in venti giri possa superare sia Ricciardo che Hamilton -che sono lontani ventidue secondi- non appare neppure tanto peregrina. Il sogno si sgretola al secondo tentativo di sorpasso su un Ricciardo solido e determinato a non mollare il terzo gradino di un podio che vale moltissimo per l’australiano.
Vettel sta dietro, fa quarto e limita i danni di un altro weekend potenzialmente letale per il suo mondiale. Certo, in Malesia la rossa è la macchina migliore del lotto, e di diverse misure, come già avevano testimoniato le prove del venerdì, quando la Ferrari aveva sul passo circa mezzo secondo al giro in più di Red Bull e Mercedes. Ma i problemi di affidabilità della rossa, oltre a non far ben sperare per la salute coronarica dei suoi piloti, tifosi e consiglio d’amministrazione, sono testimonianza dello straordinario slancio in avanti prodotto dall’azienda emiliana, che nel tentativo di recuperare il gap su Mercedes ha dovuto necessariamente rinunciare a qualcosa. Certo, di se e di ma non si vive, ma i due ferraristi ora siedono davvero su una macchina competitiva, posto che la si riesca a far partire e giungere al traguardo senza patemi d’animo.
Tuttavia, per un certo qual curioso scherzo del destino sportivo, questa rincorsa feroce al preda da troppo in fuga, ha paradossalmente lasciato enorme spazio di crescita ad una Red Bull che ora sì è terza forza vera del mondiale. Ricciardo, come detto, è pilota solido e appartenente con tutti i diritti alla elite della Formula 1, mentre Verstappen, come dimostrato ieri, trova posto nel doppio ruolo di guastatore/punta di diamante. Ora l’australiano siede in quarta posizione nella classifica piloti, in una posizione che -teoricamente- spetterebbe al secondo alfiere Ferrari e guarda in alto alla terza piazza, quella occupata da un altro scudiero finlandese. E quella sì che sarebbe davvero una sorpresa.
Ora c’è il Giappone. Gara fondamentale per mantenere viva la fiammella delle aspirazioni mondiali di Vettel e già messa in crisi dal casino che Vettel e Stroll hanno combinato nel giro d’onore di ieri e che probabilmente costerà alla Ferrari il cambio e 5 posizioni di penalità in griglia. Ora, come sia possibile sfasciare completamente una macchina mentre non si è neanche in gara, solo Dio lo sa, ma lo sport vive di momenti e di momento (inteso come misura fisica).
Apaga y Vamonos, dicono gli spagnoli a tal riguardo. Noi emiliani, invece, siamo più pragmatici.