Da un lato c’è chi dice “Meglio soli che mal accompagnati”. Dall’altro i sostenitori del motto “L’unione fa la forza“. Anche la saggezza popolare sembra non fornire indicazioni precise alla domanda che spesso si sente risuonare nei paddock delle principali competizioni del motorsport: avere un compagno di squadra forte è un vantaggio oppure no?
I due principali campionati a 2 e 4 ruote quest’anno sembrano essersi impegnati per provare a dare una risposta. Dalla MotoGp arrivano gli esempi offerti dalla coppia di casa Honda, formata dal giovane arrembante Marquez e dall’esperto e spesso troppo mite Pedrosa, e da quella sotto la tenda Yamaha, composta dal campione in cerca di riscatto Rossi e dal suo potenziale erede che ambisce alla definitiva consacrazione Lorenzo.
L’arrivo di un compagno giovane e determinato sembra aver giovato, in particolare, a Pedrosa, certo sostenuto da un mezzo che si è dimostrato strepitoso, ma apparso determinato e sicuro di sé come raramente si è visto. Non se ne possono avere le prove certe, ma sicuramente lo stimolo portato dal rookie spagnolo non ha lasciato indifferente Dani, che sembra aver sfoderato l’orgoglio dei giorni migliori e la sicurezza di chi magari non è altrettanto spettacolare rispetto al suo compagno, però, alla fine, porta a casa i punti che contano. Bisognerà vedere cosa succede quando Marquez, oltre alle lodi degli addetti ai lavori, troverà una maggiore continuità di risultati: resistere alla pressione non è mai stata la dote principale del suo esperto compagno di team.
In Yamaha, invece, l’apparenza è che il percorso di Lorenzo e Rossi proceda su due binari separati: troppo forte è la personalità di entrambi e troppo importanti i loro trascorsi per pensare che le prestazioni dell’uno possano essere influenzate in maniera decisiva da quelle dell’altro. Il pericolo, in questo caso, è che l’orgoglio del campione singolo prevalga, portando i piloti ad arroccarsi ciascuno sui propri obiettivi e le proprie convinzioni invece di cercare insieme una strada con cui colmare il gap che al momento sembra separare la Yamaha dalla Honda.
Raddoppiando il numero delle ruote, il discorso è simile: anche i due protagonisti della coppia Mercedes Hamilton e Rosberg (già compagni di team ai tempi del kart, diretti dall’italiano Dino Chiesa) hanno personalità molto forti e ben sviluppate per potersi lasciarsi influenzare troppo dal confronto interno. Quanto successo nel GP di Malesia, però, con Rosberg frenato da ordini di scuderia a rimanere dietro al compagno, dimostra che la convivenza non è per nulla facile, e c’è chi scommette che a parti invertite l’irruento britannico avrebbe accettato con qualche difficoltà in più la comunicazione del muretto. Vedremo, dopo la vittoria di Rosberg a Monaco, se gli equilibri dentro il box delle frecce d’argento cambieranno e come.
In casa Red Bull, invece, Vettel non sembra mettere in discussione che il numero uno debba essere lui: sempre in Malesia, il sorpasso da brivido su Webber ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il campione del mondo in carica non ammette ostacoli sulla sua strada, tantomeno interni.
Sicuramente, come sempre, i risultati positivi aiutano a sopire le polemiche, e se la rivalità porta a una sana competizione senza fare danni, la squadra (e lo sponsor) non può che esserne contenta. La storia del motorsport, in fondo, insegna che i duelli sono il sale di questo sport: ancora si discute, a distanza di ben 21 anni, se il sorpasso di Pironi a due giri dalla fine del GP di San Marino ai danni di Villeneuve sia stato un tradimento oppure una semplice azione di corsa.
BY RTR Sports Nelle foto: Rosberg e Hamilton, Rossi e Lorenzo Pictures from the web
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