In Formula 1

rtr-emanuele-venturoliI teorici del complotto alla tedesca, mi immagino, saranno stamani in una fase di serio revisionismo. Agli illusionisti de “in Mercedes vogliono fare vincere il biondino di casa” infatti occorrerà del bello e del buono per spiegare come mai al principe azzurro monegasco ieri abbiano montato il volante della pista Polistil al posto di quello vero della W05. Morale della fiaba: Rosberg a guardarla dai box, Hamilton a riprendersi la testa di un mondiale che pareva mezzo assegnato. E via così, ad maiora. Per la cronaca, a Nico gli si era rotta la macchina pure nella parata pomeridiana, quelle con le auto d’epoca: poi non si dica insomma che la sfiga entra senza bussare.

E’ evidente che l’affidabilità -sia tecnica che psicologica- è l’unico vero problema delle frecce d’argento: il missile con la stella a tre punte si scassa più frequentemente di un veliero di stuzzicadenti nelle mani di un bambino e i suoi due piloti sono ancora lontani dalla calma socratica agognata da Wolff e soci. In un inspiegabile istinto masochistico, Mercedes sta facendo le prove generali di Harakiri con una spada forse troppo appuntita. Ricciardo è ancora indietro di una cinquantella di punti, verissimo, ma è altresì vero che mancano 5 gare e che come nel biliardino d’estate l’ultima vale doppio, portando a 150 punti il bottino totale se la matematica non mi inganna. Non lo vincerà mai ma quello sì che sarebbe un bel colpo.

Per proseguire la domenica dello spariglio, pare -seppur ufficiosamente- finito anche l’amore fra Nando e la Rossa. Al classico dopogara dell’asturiano (“voglio vincere ma la macchina non va”) questa volta fa seguito Mattiacci, che ci tiene a precisare che al momento Fernando è ancora un pilota del Cavallino. Nell’aria gira con insistenza il nome di Vettel, in scadenza di contratto con le lattine energetiche fra un annetto, ma tutto si può arrangiare, come insegna l’italica maniera.

Occhio, infatti. Maranello ha in un anno cambiato Presidente, capo motorista e Team Principal, come a dire (ah, no, l’han già detto) che tutti sono importanti e nessuno indispensabile. Specie se, come Alonso, chiedono trenta milioni in busta paga e non fanno risultato da cinque anni. Ops.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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