In Marketing Sportivo

Esattamente come successe quest’inverno, serve Jeremy Lin per scuotere l’NBA dal torpore sonnacchioso in cui mediaticamente ogni tanto va a rifugiarsi la Lega più importante della pallacanestro. Con il trasferimento da New York a Houston del playmaker più chiacchierato degli Stati Uniti, ricomincia la Linsanity, la pazzia da Lin che aveva già spopolato fra Gennaio e Febbraio.

Da amante della pallacanestro, non posso non sorprendermi quando il trasferimento di Jeremy Lin dai Knicks ai Rockets fa più rumore di tutto il resto del mercato NBA. Da persona che lavora nello sport business, tuttavia, riconosco che tutto questo con la pallacanestro c’entra ben poco: ne è testimonianza la gran copia di articoli che hanno già iniziato a (re)infestare blog e pagine di giornali e riviste specialistiche. Proviamo a spiegare.

Iniziamo dalla pallacanestro. Jeremy Lin è fondamentalmente un giocatore mediocre, che ha conosciuto fama e fortuna in una stagione stranissima (la più breve da decine d’anni) all’interno di una squadra da metà (se non meno) classifica grazie ad un paio di singolari coupe de theatre. Non è, a parer mio ovviamente, nè all’interno dei migliori 50 giocatori della Lega nè dei 10 migliori playmaker. Williams, Westbrook, Rondo, Rose, Paul, Miller, Lawson, Parker, Rubio e Irving, non in quest’ordine, sono sicuramente tutti meglio di Jeremy Lin. Eventualmente possiamo discuterne.

Ma qui non si sta parlando di pallacanestro. Al contrario, perchè altrimenti non si spiegherebbe come il trasferimento Texano dell’uomo da Harward possa far spendere più parole di Johnson a Brooklyn, Allen a Miami, Nash a LA e Howard via da Orlando. Al contrario, ed esattamente come successe a Febbraio, qui si sta parlando di una celebrità e non di un cestista.

Lin è un prodotto del marketing e dell‘hype del 21esimo secolo newyorkese: la bella favola americana del ragazzo che con umiltà e e duro lavoro ha conquistato il successo. Jeremy Lin è il protagonista gustoso di una simpatica commedia a stelle e strisce: viso pulito, origini asiatiche, educato, umile, laureato ad Harward, una parola carina per tutti, un pensiero sempre ai genitori. Ogni tanto al ragazzo capita anche di giocare alla pallalcesto, alle volte. Tutte, o quasi, le speculazioni che si sentono in questi giorni infatti NON riguardano aspetti strettamente sportivi.

Innanzitutto c’è da chiedersi se la fiaba di Lin possa continuare anche lontano da New York. La domanda non è malposta, se consideriamo che NewYork è la culla e l’incubatrice dell’Hype di cui New York è la capitale. E’ anche vero tuttavia che il nostro è già una star ormai e che la sua celebrità può sopravvivere anche a Houston, una città in cui -per inciso- è già transitato il primo vero Cinese d’America, Yao Ming, e che rappresenta il quinto mercato del Paese dopo NY, LA, Chicago e Dallas.

In secondo luogo, c’è appunto la questione del mercato cinese, che tanto era cara a David Stern, commissioner della NBA. In questo senso New York o Texas fa poca differenza: l’influenza di Lin si farà certamente sentire ma non riuscirà ancora a scavare un tunnel preferenziale in quel mercato sterminato e di difficile penetrazione che è la Cina. Attenzione, quando parliamo di Cina non parliamo delle quattro/cinque zone industrializzate che rappresentano il 12/15% del Paese. Parliamo delle province dell’Impero, della gente vera, ancora ben lontana non solo dalla pallacanestro ma anche e sopratutto dall’occidente.

Infine c’è da chiedersi se il trasferimento di Lin a Houston cambierà qualcosa per la NBA, in termini non solo sportivi, ma anche e sopratutto conti alla mano. La prima risposta che mi viene in mente è No. La seconda è Certamente No. Sportivamente, Lin va da una squadra di metà classifica senza point guard ad una squadra di metà classifica senza point guard. Il taiwanese, che in due anni si è infortunato due volte al ginocchio, non porterà i Rockets ad un titolo che manca da vent’anni così come non ha portato i Knicks ad un titolo che manca da, oddio, che anno era, il ’73?

Parlando di business, anche qui cambierà poco, poichè la fama e la celebrità di Lin non sono sport-oriented ma hype-based. Quando LeBron andò via da Cleveland, annunciando in diretta nazionale la decisione di andare a Miami (“The Decision“, lo speciale TV più visto degli ultimi 5 anni, giusto per dare un’idea) si sollevarono un sacco di mugugni e si spostarono un sacco, ma davvero un sacco, di soldi. Nike, che aveva creato per James la famosissima campagna “we are all witnesses” (siamo tutti testimoni) dovette addirittura fare smantellare i vecchi billboard e lanciare uno spot TV per gestire la crisi. Con Lin tutto questo non è successo e non succederà, poco ma sicuro.

Insomma, l’America non cambierà. E neppure la NBA. Perchè quella di Jeremy, lo sportivo più famoso mai uscito da Harvard, non è una fiaba di sport, ma una fiaba di marketing. E anche in questo senso ci piace, ovvio. Anche perchè, siamo onesti, New York o Houston, chi non vorrebbe bene a Jeremy Lin?

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By Emanuele Venturoli – RTR Sports Marketing
Nella foto:  Jeremy Lin alla sua presentazione ufficiale ai Rockets
Picture courtesy of NBA

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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