Sports Marketing: sapete che merchandising e corporate identity hanno un legame molto profondo nel settore del marketing sportivo? Scopriamo quale!
A proposito di merchandising, quanto vale per un tifoso indossare la maglia del suo giocatore preferito, omaggiare nel suo piccolo il proprio idolo? Quanto ci inorgoglisce appartenere a una big family – vincente o meno che sia- condividerne la storia, i valori, l’agitazione in vista degli appuntamenti decisivi?
Corporate identity
Il sofisticato processo di riconoscimento di un brand, di corporate identity passa anche da qui, da questa dimensione intangibile, da questo sentimento viscerale che talvolta lega l’utenza al proprio marchio. Questo fenomeno avviene soprattutto quando si parla di società calcistiche, che più di qualunque altra azienda puntano a far leva su forze motrici suggestive ed emotive.
Uno degli strumenti più funzionali alla costruzione di questo senso di appartenenza è rappresentato dal merchandising, che negli ultimi decenni ha registrato uno sviluppo talmente notevole da accaparrarsi di diritto un ruolo fondamentale nel bilancio delle società sportive. Su che binari viaggi una tale attività è facilmente intuibile: da una parte sfrutta la notorietà del marchio per incrementare le casse societarie attraverso la vendita dei prodotti brandizzati; dall’altra proprio attraverso quest’ultima consolida la Corporate Identity della società, alimentandone prestigio e visibilità anche oltre i confini nazionali.
In Europa, il merchandising muove diversi milioni di euro, grazie soprattutto a quei club che hanno capito molto presto l’importanza di lasciare spazio, nella propria strategia di marketing, ad azioni volte a creare legami evocativi tra prodotti e brand. Nel 2010, quando ancora la Serie A calcistica rientrava nella Top Three dei campionati europei più importanti, il valore del merchandising si aggirava intorno ai 631 milioni su base annua.
Il valore dei club
Tradizionalmente sono i club inglesi e tedeschi a muovere la maggior parte dei bigliettoni, ma negli ultimi anni i club spagnoli hanno “remontado” come solo loro sanno fare. Il contributo italiano è, invece, storicamente esiguo in merito alla questione. Basti pensare che l’Internazionale F.C., proprio nel 2010, l’anno del triplete, occupava solo l’ottava posizione nella Top Ten della classifica per club sugli introiti da attività commerciali, preceduta dall’AC Milan, unico altro club nostrano a rappresentare la Serie A.
La situazione negli anni è leggermente migliorata. Nel 2014 il sito The Richest ha condotto una ricerca circa i 10 club europei con i maggiori proventi dalla sola vendita delle magliette. In questa classifica compaiono ben tre club italiani; ma niente di esaltante, dato che il campionato italiano ne viene fuori come il fanalino di coda dell’Europa che vale. AC Milan, Inter F.C. e Juventus FC, sono rispettivamente ultima, penultima e terzultima squadra per ricavi dal merchandising e il rapporto con le prime in classifica è caratterizzato da un divario esagerato: i 480.000 pezzi venduti del club italiano più attivo negli ultimi anni (la vecchia Signora) impallidiscono difronte al 1.400.000 di quelli del Manchester United e Real Madrid. Se, oltre al merchandising, contiamo anche gli sponsor, la sfida invece è tra Manchester United e Bayern Monaco. E anche per le italiane, la classifica sarebbe più felice.
Perchè questo discacco?
In relazione a questo distacco tra Italia e resto d’Europa, incidono sicuramente i risultati calcistici degli ultimi anni. Oltre al duopolio tutto spagnolo del trofeo più ambito dai calciatori – il pallone d’oro- anche la presenza dei club italiani nel contesto europeo fatica ad essere incisiva, ad eccezione della Juventus che però deve ancora fare i conti con la sua storica difficoltà nel sollevare la coppa dalle grandi orecchie. Un altro fattore è costituito dal fatto che nel Bel Paese, i club raramente effettuano vendita diretta, affidandosi per lo più a terzi, chiamati a versare alla società del marchio delle royalties proporzionali agli introiti effettivi.
Ma la ragione, probabilmente, è anche radicata nel macro contesto di un sistema tutto italiano a volte troppo palesemente contraddittorio: a dispetto dell’esistenza di una legge che punisce il business della contraffazione, con tanto di forze dell’ordine arruolate per tale scopo – il nucleo Antisofisticazioni dei Carabinieri- , i rivenditori del merchandising falsificato non mostrano alcuna preoccupazione a sostare in prossimità degli stadi. Siamo di fronte all’ennesimo sistema vizioso e paralizzato italiano, che però muove con grande maestria le fila del mercato illegale, incentivando la sfiducia che i club hanno nei confronti del potenziale offerto dal merchandising autentico.
Alla fine di questa storia, una cosa sembra chiara: se esistesse una classifica delle contraddizioni, l’Italia sarebbe sicuramente in testa.
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