Se chiedere scusa è la cosa più difficile del mondo, farlo in pubblico è un atto di grande onestà e responsabilità. Sia ben chiaro: chi redige queste righe non si è mai sottratto, laddove necessario, dal manifestare la propria insofferenza verso questa o quella mancanza nel regolamento, o lacuna nell’applicazione dello stesso. Tuttavia è giusto dare a Cesare ciò che è di Cesare, e riconoscere nella decisione di riportare le qualifiche al format pre-2016, un segno di maturità e una seria ammissione di responsabilità.
L’importanza dello spettacolo
Il nuovo formato è stato provato, bocciato e poi cancellato, in quello che è un procedimento naturale e più che comprensibile all’interno di un movimento che sta cercando con le unghie e con i denti di alzare il livello di spettacolarità e l’affezione del pubblico. Certo, era legittimo domandarsi come mai le qualifiche shootout non fossero state provate prima in GP2 o in serie minori, così come era più che comprensibile chiedere se simulazioni e test fossero stati compiuti prima di applicare la norma in pista a Melbourne. Tuttavia, tanto è legittimo farsi queste domande, tanto è errato incancrenirsi sulle risposte oggi, nel giorno in cui tutto torna alla normalità.
Probabilmente è stato commesso un errore. Certamente è arrivato il dietrofront e la conseguente ammissione di colpevolezza. Non è scontato, in un circus dai poteri forti e dalle tante voci autoritarie. È in un certo senso un gesto di distensione, di apertura. Una nuova perestroika a motore.
Questa non è, come in tanti vogliono, una vittoria di questa o quella squadra, di questo o quel team manager, di questo o quel pilota. È una vittoria del movimento in generale, dello sport, del buonsenso e della bella F1.
Una vittoria un po’ di tutti. E no, non era scontato.
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