In Formula 1, Marketing Sportivo, MotoGP

Quattro righe del mattino, tanto per cominciare la giornata.

In questi giorni si è letto molto circa le dichiarazioni di Jacques Villeneuve riguardo alla decisione di Toro Rosso di fare gareggiare il diciassettenne Max Verstappen nella stagione di F1 2015 al posto di Jean Eric Vergne. Il canadese, di cui tutto si può dire fuorchè che gli manchi il dono della schiettezza, ha detto pubblicamente e senza mezzi termini che è un errore pazzesco fare entrare in Formula 1 un ragazzo così giovane. Le cose, ha proseguito, possono andare solo in due modi: se andranno male il ragazzo ne uscirà distrutto, se andranno bene sarà un grave problema per la F1, che perderà il suo ruolo elitario.

Non sono in totale disaccordo con Villeneuve, ma neppure del tutto convinto dalle sue argomentazioni. Certo, dal suo ragionamento emerge un punto importante circa le traiettorie di un atleta. La domanda, legittima, è: chi entra al top così giovane cosa farà dopo? La F1 (e tutte le massime serie) è un punto d’arrivo, un punto di partenza o un punto e basta?

Come detto sono domande legittime, ma non si deve cadere nel tranello dell’eccessiva semplificazione. Ecco perchè io non sono convinto che Max sia davvero troppo giovane, per fare questo sport.

Innanzitutto è concettualmente errato chiedersi cosa potrebbe succedere al ragazzo se la sua carriera in F1 non fosse di successo. Dovesse accadere (probabile), Max Verstappen se ne tornerà a casa con le pive nel sacco, si prenderà un anno sabbatico e poi andrà a correre nel Gran Turismo o in America. D’altronde il rischio che le cose non funzionino è un’opportunità che qualsiasi sportivo deve prendere in considerazione e che non implica che lo sport in sè sia stupido, ma semplicemente che si siano fatti i conti senza l’oste.

In secondo luogo, credo, è errato chiedersi se la F1 possa perdere il suo ruolo elitario perchè entra un ragazzino di 17 anni. Marquez è entrato in MotoGP a 18, ha vinto il mondiale alla sua prima stagione e quest’anno ha vinto 10 gare su 11, tuttavia non mi pare che lo sport ne abbia sofferto, anzi. Oxlade Chamberlain è arrivato all’Arsenal a 17 anni ed è divenuto il più giovane goleador della Champions League, senza che il calcio sia morto. Tom Daley ha vinto il campionato mondiale FINA a 15 anni, e piscine e trampolini sono ancora lì. Casey Stoner, vincitore di 2 Mondiali della classe regina del motociclismo, si è ritirato a soli 27 anni ed ora si gode molti soldi e una vita più che egregia nella sua tenuta australiana.

Insomma, ciò che Villeneuve non tiene in considerazione è che lo sport -ma non solo- si sta ringiovanendo e che il confronto fra “le cose come si facevano 20 anni fa” e oggi non è sostenibile. Un ragazzo di 17 anni di oggi non è paragonabile a un coetaneo di vent’anni addietro, specie se si tratta di un atleta: sono cambiate le mentalità, il panorama sociale, gli allenamenti, le prospettive manageriali, la cultura. E’ vero, l’esperienza conta tantissimo nello sport come nella vita, ma è anche vero che un appena diciottenne ha il supporto di un fisico più reattivo e di una mentalità più scevra da paure e sovrastrutture varie.

Questo non significa che si debba cadere nell’errore contrario, ovvero che l’essere giovani sia di per sè una ragione per ingaggiare un pilota, o un calciatore, o un ciclista. Semplicemente, saranno la pista e il cronometro a dire con certezza se Max Verstappen sia o non sia uno straordinario talento del volante.

Con buona pace della carta d’identità.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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