Per due settimane non si è parlato d’altro. L’affare Djokovic o la Djokovic saga, o la battaglia tra Djokovic e l’Australia, o la guerra di Djokovic contro il mondo…insomma, la questione del non vaccinato numero 1 al mondo ha completamente offuscato la partenza di uno dei tornei di tennis più importanti di sempre, l’Australian Open.
Inutile raccontare quel che è accaduto, ne hanno ampiamente già parlato tutti. L’aspetto che a noi più interessa analizzare, come agenzia di marketing sportivo, è quello legato all’impatto o alle conseguenze che la vicenda può avere in termini economici e di sponsorship.
Ma facciamo un passo indietro.
Sponsorizzare significa legarsi ai valori della disciplina sportiva o dell’atleta che si sponsorizza.
Questo è un punto fondamentale e imprescindibile da cui partire. Lo diciamo sempre e continueremo a dirlo fino all’ossessione: sponsorizzare non significa solo applicare un logo/marchio su una maglia da calcio, su una F1, su una MotoGP o fornire l’abbigliamento ad un tennista famoso.
La sponsorizzazione é molto, molto di più. Dietro ad ogni disciplina sportiva ci sono infatti dei valori specifici e ben definiti che la rappresentano e che rappresentano lo sport ancor prima. La sponsorizzazione è innanzi tutto un’associazione di valori.
Quando un’azienda decide di investire nello sport, noi cerchiamo sempre di capire quali sono i valori della stessa o del brand che vogliono comunicare, in modo da compararli con quelli della disciplina in cui si va ad investire per essere certi che siano in linea. La scala valoriale dell’azienda deve combaciare con quella dello sport, del team o dell’atleta che si sponsorizza. Spesso capita anche che le aziende abbiano necessità di legarsi ai valori specifici dello sport per migliorare il loro percepito.
I valori a cui ci si associa investendo in un progetto di sport sponsorship sono fondamentali: fair play, determinazione, dedizione, fatica, lavoro duro, sacrificio, resilienza, rispetto dell’avversario, rispetto delle regole. Sono solo alcuni dei valori legati allo sport.
Nella scelta del soggetto sportivo, sia esso una squadra o un atleta, si deve quindi fare molta attenzione e si deve capire bene se c’è corrispondenza tra le parti.
Sponsorizzare non significa investire su chi vince
Altro punto da considerare quando si vuole investire nello sport. Non si può pensare di investire basandosi solo sulla performance della squadra o dell’atleta. Il risultato non può essere un fattore determinante nella costruzione di un progetto di marketing sportivo. È ovvio che un’azienda che investe in una sponsorizzazione sportiva speri sempre che il suo team o l’atleta ottengano dei buoni risultati o vincano il più possibile, ma non possiamo scegliere in base a quello.
Un top team ha di certo una visibilità e un’attenzione maggiore rispetto ad un team minore, ma non per questo si deve pensare di investire solo sui campioni. La sponsorizzazione va sfruttata e comunicata a prescindere dai risultati sportivi.
Se infatti la squadra su cui investiamo vive una serie di risultati negativi, si deve cercare di “sfruttare” e comunicare e costruire una narrazione anche su quelli.
Torniamo ancora ai valori di cui abbiamo parlato poco fa: la resilienza, il sacrifico, il saper andare avanti anche quando tutto sembra faticoso e difficile, il tornare in pista dopo gravi infortuni, il vincere le paure e i momenti bui e negativi. Sono tutti aspetti che fanno parte non solo dei programmai sportivi ma della vita in generale. E sono messaggi potenti che possono e devono far parte di un progetto di comunicazione che coinvolge anche lo sport.
I personaggi sportivi sono diventati dei veri e propri veicoli di messaggi
Oltre ai valori che rappresentano, le sport celebrities oramai sono diventate dei veri e propri mezzi di comunicazione. Grazie alla reach dei social media e anche alla pandemia in corso, abbiamo visto che gli sportivi hanno iniziato ad usare i social media in modo sempre più estensivo, a volte forse anche un po’ troppo.
Zoom call, live, stories, post, video…gli sportivi hanno invaso i social media con contenuti legati alla loro vita privata e professionale, lanciando spesso dei veri e propri messaggi attraverso i loro comportamenti e le loro scelte. Siamo entrati nelle loro case, visto cosa fanno, cosa mangiano, cosa guardano, come si vestono e come la pensano sui vari aspetti e temi attuali. La sfera “privata” del testimonial sportivo non esiste quasi più; sono dei veri e propri mezzi di comunicazione sia quando svolgono la loro attività professionale di sportivi, che quando postano sui social migliaia di contenuti di ogni sorta. E qui spesso nascono i problemi. Così come accade con il caso Djokovic.
Sono uno sportivo professionista, ma non solo
Un personaggio sportivo come Novak Djokovic non è solo un personaggio sportivo. Non è solo l’atleta straordinario che seguiamo quando gioca a tennis.
È in primo luogo il tennista numero 1 al mondo, ma anche un personaggio pubblico di primo piano grazie alla fama e popolarità che ha ottenuto attraverso i risultati sportivi, agli sponsor che lo hanno supportato e al pubblico che segue lui e il tennis.
Con i suoi comportamenti, opinioni, valori, idee, azioni, dentro e fuori dal campo, Djokovic, così come qualsiasi altro atleta di fama, ha il potere di veicolare dei messaggi a milioni di persone. Ma con la fama arrivano anche le responsabilità.
Ogni atleta è libero di pensare e agire come crede, ma deve essere anche consapevole che quello che dice e quello che fa ha un impatto sul pubblico che lo segue e quindi anche delle conseguenze. Gli sponsor che lo supportano e che investono su di lui e sulla sua immagine devono quindi capire se il brand e il pubblico a cui si rivolgono, sono in linea a quello che il testimonial rappresenta, anche fuori dal campo, come personaggio pubblico.
Facciamo degli esempi:
Se l’atleta che sponsorizzo fa uso di doping, lo abbandono.
Se l’atleta che sponsorizzo viene accusato e condannato per violenza, lo abbandono.
Se l’atleta che sponsorizzo viola e non rispetta le regole, lo abbandono.
Questo perché l’azienda/brand non si possono permettere di essere associati a questo tipo di valori negativi. Nei contratti con gli atleti quindi, ci sono sempre le penali o le clausole di uscita in caso di doping, violenza, gambling, razzismo, atteggiamenti omofobi ecc.
Il caso Djokovic, che conseguenze avrà per gli sponsor?
In tanti si stanno chiedendo che cosa faranno i suoi sponsors. Fino ad oggi c’è stato un silenzio totale da parte di tutti.
Solo due giorni fa ho letto un articolo del Financial Times in cui si dice che Lacoste abbia intenzione di “rivedere” gli eventi che hanno portato all’espulsione del tennista dall’Australia. “Non appena possibile, saremo in contatto con Novak Djokovic per rivedere gli eventi che hanno accompagnato la sua presenza in Australia.
Lacoste, di proprietà del gruppo svizzero MF Brands, ha firmato un accordo pluriennale con Djokovic nel 2017, andando a sostituirsi al colosso Uniqlo. Secondo Forbes il tennista serbo varrebbe 30 milioni di dollari all’anno dai legami di sponsorizzazione. Oltre a Lacoste ci sono infatti anche Peugeot, Seiko, Head, Asics, UKG.
In questo momento l’immagine del tennista serbo ha certamente assunto dei connotati che vanno oltre l’aspetto sportivo. Le sue idee sulla pandemia in corso e sulle vaccinazioni, i suoi comportamenti ed azioni rispetto alle regole che ogni paese del mondo ha dovuto imporre per contenere la diffusione del virus, e le sue dichiarazioni in merito agli eventi, hanno certamente un valore e un peso che le aziende che lo supportano non possono non considerare. La vicenda poi è stata resa ancor più pesante dal modo in cui è stata gestita da parte dell’entourage dell’atleta. Djokovic condivide un post in cui si scusa per aver violato le regole dell’isolamento e aver fatto un’intervista da positivo e incolpa il suo team per aver compilato in modo non corretto il visto di entrata in Australia. La sua famiglia in Serbia tiene una conferenza stampa dove attacca tutti e paragona il tennista a Gesù Cristo, crocifisso senza motivo.
Diciamo che chiunque di noi in questi 2 anni, ha dovuto modificare drasticamente le proprie abitudini di vita e adattarsi alle nuove regole. Se devo viaggiare e ho l’obbligo di compilare un passenger locator form, non posso mentire o omettere di dire dove sono stato nei giorni precedenti al volo, o dire che chi ha compilato il mio form ha fatto un errore (e chiunque abbia guardato Airport Security Australia sa benissimo che mentire sul visto in entrata ti mette in una situazione a dir poco difficile, chiunque tu sia).
Questo atteggiamento del tennista serbo diciamo che non ha avuto grande consenso da parte dell’opinione pubblica mondiale.
Le regole valgono per tutti, sopratutto in un momento così delicato come quello in cui ci troviamo a vivere oggi.
Il pubblico pretende che tutti, anche le “celebrities”, facciano degli sforzi e si adeguino alle circostanze.
Danni di immagine e non solo
Le conseguenze di tutta questa vicenda si tramuteranno certamente in un grosso danno d’immagine per Djokovic in primis e per le aziende che lo sponsorizzano, per non parlare poi delle conseguenze e delle ricadute economiche che la mancata presenza del tennista all’Australian Open. La sua partecipazione è a rischio anche al Roland Garros in Francia, che ha già dichiarato che tutti gli atleti dovranno essere vaccinato, così come in Italia. Per andare in America è obbligatorio il vaccino, quindi anche lo US Open è a rischio.
Questo significa che gli sponsor non avranno la visibilità che avrebbero dovuto avere, non potranno programmare le varie attività di comunicazione e di marketing legate ai tornei in cui il testimonial avrebbe dovuto partecipare e dovranno di certo rivedere tutta la pianificazione programmata mesi fa. Il consenso e la popolarità dell’atleta sono stati certamente compromessi e questo significherà meno vendite di tutto ciò che è legato all’immagine e a nome dell’atleta; meno t-shirt Lacoste, meno scarpe Asics, meno racchette Head, ecce cc.
Fare una stima dei danni è difficile ma si tratta certamente di cifre enormi per tutti gli sponsor coinvolti. A questo punto non resta che vedere cosa succede.