La capacità di trasmettere valori e messaggi promozionali in modo efficace e non influenzato è una delle maggiori peculiarità delle sponsorizzazioni sportive e del marketing sportivo in generale. L’autenticità dei prodotti sportivi, ovvero la capacità di apparire genuini e inalterati, è un concetto chiave per superare le difese cognitive degli spettatori: quando intervengono un’eccessiva complessità e un’inutile manipolazione, i risultati sono a rischio.
Appena sceso dal podio del Gran Premio di Formula 1 in Messico, Sebastian Vettel si è lamentato della presenza sulla scena di Mario Achi, la mascotte della corsa troppo sbarazzina che si aggirava tra i piloti con in mano un bastone da selfie, cercando di scattare un selfie. Fastidioso e offensivo per la tradizione messicana: questo è stato il giudizio finale del pilota del Cavallino Rampante che, invece, ha speso parole di elogio per la decisione di far salire sul podio la vettura vincitrice, la Stella d’Argento che ha permesso a Hamilton di vincere l’ennesimo titolo mondiale e che quindi merita un po’ di gratitudine, no? Infine, ma non per questo meno importante, il tedesco ha mostrato il suo disappunto nei confronti dei trofei con il logo dello sponsor, al posto dei quali avrebbe preferito piatti, coppe e premi più tradizionali e meno commerciali.
Nota dell’editore: è un vero peccato che il trofeo Heineken a forma di stella finisca per rovinare l’aspetto degli scaffali delle coppe dei Vettels. A dire il vero, prima di lamentarsi sarebbe opportuno fermarsi un attimo e pensare a chi paga le bollette dell’intero spettacolo.
Mario Achi e la Mercedes sul podio sono state due delle tante novità – alcune importanti, altre minori – introdotte nel circus della Formula 1 nelle ultime settimane. Queste innovazioni sono state accolte con entusiasmo variabile sia dai piloti che dagli operatori. E il pubblico? Beh, sono stati confusi per un bel po’ di tempo. , che Dio ce ne scampi e liberi.
Negli ultimi venti giorni la Formula maggiore ha subito ogni sorta di cambiamento, dai nomi delle scuderie (Alpha Tauri al posto di Toro Rosso) ai nuovi circuiti che dovrebbero girare intorno agli stadi di calcio in Florida, dalle auto che si autofrenano agli spettacoli televisivi in diretta sulla televisione digitale dei giocatori Twitch.
Questo è l’ennesimo carico di complessità che si aggiunge a un sistema sportivo complicato in cui le gare iniziano alle 14:10, invece che alle 14:00, le squadre hanno a disposizione fino a 5 mescole di pneumatici solo per l’asciutto, le auto hanno un pulsante per ridurre l’impatto dell’ala posteriore, rimanere in scia al pilota che ti precede è diventato uno svantaggio, invece che un vantaggio, il volante dell’auto ha 17 selettori e una safety car virtuale impone il rispetto di un delta time che è difficile da calcolare come l’orbita di una delle lune di Giove.
A prescindere da ciò che la F1 può pensare, e a titolo esemplificativo, il demone della complessità è perfettamente illustrato dalla parabola vissuta dalle principali serie di sport motoristici: lo sport più semplice del mondo (in cui l’obiettivo è vedere quale auto corre più veloce) è diventato così complicato da seguire che la conseguenza diretta è stata la scarsa efficacia del prodotto per il pubblico e gli investitori.
Manipolazione di prodotti sportivi e autenticità
In riferimento al titolo di questo post, il rischio è quello di cadere nella trappola dell’eccessiva manipolazione del prodotto sportivo e di perdere l’autenticità, una caratteristica fondamentale per l’efficacia del marketing sportivo.
Come abbiamo ribadito in molte occasioni, il marketing sportivo e le sponsorizzazioni sono efficaci in quanto riescono a trasferire messaggi commerciali attingendo alla passione dei tifosi e all’emozione generata dallo sport, superando così le barriere difensive che i consumatori tendono a erigere con sempre maggiore forza nei confronti della pubblicità e del marketing tradizionali.
Quando guardiamo la nostra squadra del cuore giocare una partita importante, quando ci emozioniamo guardando un’avvincente gara di MotoGP o quando assistiamo a un grande evento in TV come i Giochi Olimpici, percepiamo i marchi e le aziende pubblicizzati in questi contesti in modo organico, come se facessero parte di un contesto positivo e genuino, e questo, ovviamente, rafforza la loro esposizione e la loro presenza.
Inutile dire che questi benefici scompaiono quando un prodotto sportivo è altamente manipolato. Questo è vero quando il prodotto è difficile da seguire e anche quando lo percepiamo come artificiale o influenzato oltre ogni ragionevole necessità. In un certo senso, e senza alcuna malizia, è la stessa differenza che c’è tra un incontro di pugilato e uno di wrestling: il primo è autentico e il secondo artificiale.
Il bisogno di autenticità è ironicamente più forte nelle nuove generazioni. Gli spettatori più giovani, ampiamente abituati ai social media e a tipi di intrattenimento meno manipolati, si appassionano maggiormente a sport, discipline e campioni privi di sovrastrutture. Il successo mondiale e sempre crescente del calcio (un gioco semplice che è rimasto inalterato negli anni) ne è un buon esempio. Lo stesso, però, può valere per gli skateboarder e i videogiocatori, il cui successo è dovuto principalmente al fatto che riescono a raggiungere il pubblico in modo diretto. Il circodella MotoGP è stato piuttosto abile in questo senso, in quanto è riuscito a mantenere il suo prodotto autentico e ampiamente apprezzato dai fan di tutto il mondo, nonostante l’altissimo livello tecnico.
La ricetta sembra essere piuttosto semplice: affinché le sponsorizzazioni e il marketing sportivo abbiano un impatto efficace e il pubblico si appassioni e segua con costanza, il prodotto sportivo deve essere semplice da usare e deve apparire autentico. Per sua stessa natura, però, la semplicità è spesso l’obiettivo più difficile da raggiungere.
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