Sports Writers: AFC Wimbledon, Storia di Un Cuore Tornato a Battere
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Il cuore di migliaia di fedeli tifosi frantumato da investitori senza scrupoli: è un film visto e rivisto mille volte. Tra i verdi campi dello Slam tennistico più affascinante e celebre al mondo, batte ancora un cuore giallo e blu: quello dell’AFC Wimbledon.
Con forza, coraggio e onestà, da quelle parti la gente comune, quella abituata alle terraces ed ai fish & chips prima delle partite, ha riportato in vita uno degli emblemi storici del calcio londinese. Quello meno conosciuto sulle patinate riviste del modern football e, per questo, più vulnerabile alle spietate scelte di business di imprenditori che del calcio e dei suoi valori mai hanno sentito parlare.
“Riteniamo che una squadra di calcio non sia semplicemente l’entità legale che la controlla, ma che sia la comunità formata dai tifosi e dai giocatori che lavorano per raggiungere un obiettivo comune. Rivendichiamo quindi per la nostra comunità i titoli vinti da quella che crediamo sia stata e sempre sarà la ‘nostra’ squadra”.
Sono parole sincere, forse proprio per questo motivo arrivano dritte al cuore di ognuno di noi. Sono parte di uno dei comunicati ufficiali passati alla storia di una piccola squadra, una delle tante a ritagliarsi un ruolo nella grande e operosa City of London. Sono i pensieri che ogni tifoso che si rispetti sottoscriverebbe. A costo di sprofondare nell’anonimato delle ultime serie dilettantistiche, piuttosto che progredire in una lenta, desolante agonia in qualche campionato professionistico. Con un presidente magari straniero, incurante dei sentimenti, anche di quelli agli occhi dei più, “insignificanti”, perché rivolti a un’entità inanimata quale un club calcistico.
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Wimbledon F.C. e Plough Lane. Risale al 1889 l’anno di nascita del Wimbledon F.C., club dell’omonimo quartiere di Londra, celebre nel mondo per i suoi verdi campi da tennis più che per il gioco del calcio.
Soltanto nel 1970 il club inizierà a farsi conoscere, acquisendo notorietà e fama a livello nazionale. Nel 1988, la vittoria più prestigiosa di una piccola realtà nella galassia di squadre che la sola capitale inglese può vantare: la FA Cup dopo una finale vinta a Wembley niente meno che contro il Liverpool.
L’anno di grazia si tramutò ben presto nell’inizio di un inesorabile calvario. Lo stadio dei “Dons”, il vecchio ma affascinante Plough Lane, venne dichiarato inagibile complici le riforme volute dalla iron lady Margareth Tatcher. I posti dovevano essere rigorosamente a sedere, generando costi altissimi per un impianto risalente addirittura al 1912.
Per due stagioni il club riuscì ad arrangiarsi, ospitato nell’impianto casalingo dai rivali (sempre londinesi) del Crystal Palace. Doveva trattarsi di una soluzione temporanea, ma per il Wimbledon F.C. il lungo pellegrinaggio proseguì addirittura per 12 campionati, nonostante le promesse (vero o presunto) dei proprietari nella ristrutturazione dello stadio.
Nulla cambiò, per diversi anni. Nonostante le buone stagioni del Wimbledon F.C. in Premier League, la situazione per il club peggiorò progressivamente, con i debiti aumentati nel tempo in maniera esponenziale.
Raccogliere i cocci. Per i supporters del Wimbledon, tuttavia, il peggio doveva ancora arrivare. Giunse dalla Norvegia, con il volto del nuovo presidente, Pete Winkelman, che in breve tempo riuscì nell’impresa di prendere in mano lo storico club, spogliarlo della sua storia e trasferirlo (con modalità simile a quelle delle franchigie degli sport di squadra americani) in un’altra città. Milton Keynes (che aveva dato i natali al nuovo proprietario straniero), per la precisione, 90 km a nord di Wimbledon, una cittadina senza un club calcistico, ma con uno stadio di dimensioni imponenti e con tutti i crismi della modernità (ed oggi sede anche della scuderia di F1 Red Bull Racing, ndr).
Eccola qui, la nuova creatura, il Milton Keynes Dons, un autentico stupro per migliaia di affezionati fans londinesi, rimasti senza squadra, stadio e senza nemmeno un trofeo in bacheca. Non bastasse l’inaccettabile sfregio al nome della società ed ai suoi simboli, un trasferimento in un’area geografica del tutto estranea a quella locale fu davvero impossibile da accettare.
Una passione infinita. La parola d’ordine, fin da subito, fu “orgoglio”. E appartenenza, aggiungiamo volentieri, unitamente a una passione davvero smisurata.
Nel 2001, le prime riunioni e l’associazione di alcuni tifosi; quindi, nel febbraio 2002, circa 1200 tifosi dei Dons si riunirono per fondare il The Dons Trust, un patto associativo con una propria regolamentazione, che ancora oggi cura gli interessi della società che verrà fondata nel giugno dello stesso anno da un gruppo di 750 supporters, capeggiati da Kris Stewart, già membro del WISA (Wimbledon Indipendent Supporters Association) e nominato presidente della neonata società.
Fu il primo passo verso la rinascita, concretizzata da un clamoroso provino collettivo per scegliere i calciatori con i quali costruire la nuova squadra dell’AFC Wimbledon, letteralmente A Football Club. Fu il primo, difficile passo verso nuova luce, rincorsa in lunghi anni di assestamento con i primi successi nelle divisioni più umili del football britannico. In una continua scalata verso l’alto, nella gerarchia delle competizioni inglesi.
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The Fans Stadium. Tra le maggiori difficoltà sul cammino dei nuovi Dons vi fu quella di scegliere un impianto per disputare le partite casalinghe. La scelta portò fin da subito a Kingsmeadow, a Kingston Upon Thames, la nuova “casa” dei gialloblù.
Costruito nel 1989, Kingsmeadow aveva capienza iniziale di 6299 posti, ridotta a 4500, dei quali 1125 a sedere, per motivi di sicurezza. Storicamente nacque come terreno di gioco del Kingstonian, ma in seguito alla retrocessione dalla National Conference questo club venne posto sotto amministrazione controllata, in attesa di nuovi acquirenti che si accollassero la gestione del club e le spese per l’impianto.
Il Dons Trust, che inizialmente versava un affitto per poter far ospitare le gare interne in quell’impianto all’AFC Wimbledon promosse una sottoscrizione azionaria per finanziare l’acquisto di almeno il 75% del valore della struttura ed accese un mutuo per saldare il restante debito con i proprietari del club. Il nome dello stadio mutò in “The Fans Stadium” e ad oggi il Kingstonian risulta club locatario, pagando comunque un affitto inferiore rispetto al passato.
Resurrezione. L’ultima pagina di una storia così ricca di sincere emozioni, è recente. La fine della stagione 2010/11, ha regalato all’AFC Wimbledon il ritorno tra i professionisti. Dalla Conference alla Football League, con un posto d’onore nella League Two, dopo aver battuto ai rigori il Luton Town nella finalissima playoff al termine di 120’ nei quali possono essere condensati, in una intensa metafora, anni di sofferenze sportive e di orgogliosa resurrezione.
“Welcome back, Dons”, titolarono i quotidiani sportivi britannici l’indomani, per celebrare una storia, quella dell’AFC Wimbledon, dove a uscire sconfitti sono i potenti sciacalli, mentre a trionfare sono i tifosi, protagonisti sul campo.
Nell’ultimo torneo, infine, un più che onorevole 16° posto, con il Fans Stadium quasi sempre gremito da migliaia di tifosi di tutte le età, nel segno dell’amicizia, dell’orgoglio e del senso di appartenenza ad un simbolo riportato in vita con umiltà, in un connubio continuamente rinforzato, con la terra d’origine.
È, questo, un risultato talmente grande e impensabile, negli anni più bui del Wimbledon F.C. scomparso dall’anagrafe del calcio ma non dal cuore dei suoi tifosi, da meritare la menzione speciale del Premier britannico Cameron, nel 2009.
Un libro e uno sponsor… inusuale. La travagliata storia del Wimbledon è stata raccontata da Stefano Faccendini, giornalista e scrittore italiano, originario di Roma ma da tempo a Londra per lavoro, già nel direttivo di Supporters Direct.
Il volume, “Noi Siamo il Wimbledon”, racconta nel dettaglio la storia della compagine londinese, la distruzione di una tradizione per mano di imprenditori privi del minimo senso di appartenenza, in grado di calpestare la dignità di migliaia di tifosi attraverso la creazione di una nuova società dalla nomenclatura differente e il trasferimento in un’altra città inglese. Dall’incubo al… lieto fine, è il percorso tracciato da Faccendini nelle 149 pagine del libro, in un racconto dal quale emerge la forza della passione, l’orgoglio di appartenere a una comunità che si identifica nel simbolo di una squadra di calcio. Urlando: noi siamo il Wimbledon!
Sulle divise da gioco dell’AFC Wimbledon, infine, campeggia un marchio inconsueto per il mondo del calcio. È quello di Sports Interactive Games, celebre software house che produce un best seller dei videogames in tutto il mondo. Un vero must per ogni appassionato di calcio: Football Manager, un tempo conosciuto per la serie Championship Manager. Proprio il direttore generale di Sports Interactive, racconta che l’idea di sponsorizzare questa squadra basata sulla proprietà condivisa dei tifosi, fin dalle sue origini nel 2002, nasce dalla volontà di contribuire al sogno di migliaia di tifosi: partendo dai verdi campi da gioco di periferia, dove ogni stella del calcio del futuro muove i primi passi.
Quella dell’AFC Wimbledon è una storia meravigliosa. Una favola nella quale il lieto fine viene scritto a penna ogni singolo giorno. Contribuendo, quotidianamente, a rendere grande il nome di una squadra che in questo caso vive davvero nel cuore delle sua migliaia di affezionati tifosi.
By Marco Lorenzi - RTR Sports Marketing Contributor
Nelle foto: AFC Winbledon
Pictures from the web
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Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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