Chi scrive appartiene a quella cerchia di coloro che ieri hanno gioito -e non poco- nell’apprendere che Jenson Button sarà ancora dietro al volante di una McLaren nell’anno venturo. Al suo fianco, quelle suprise come si dice alla cene eleganti, Fernando Alonso, ufficializzato dopo un inutile balletto di galanterie e finti ripensamenti di cui si conoscevano gli esiti già circa all’altezza di Ferragosto.
I visi nelle foto da Woking sono tirati al mattarello e si intravedono parecchi sorrisi finti come una banconota da sette euro. La polpetta più amara tocca certamente al vecchio Ron, che ora si trova con una gatta da pelare dimensione Tigre del Bengala e non proprio la sua squadra dei sogni attorno. Fosse per lui, cui l’asturiano sta simpatico come le pubblicità su Youtube, si sarebbe tenuto Magnussen, i motori Mercedes e probabilmente avrebbe pelato dal mazzo un altro ragazzino dell’academy che gli togliesse peso, pressioni e responsabilità. Alla fine della giornata si trova con due campioni del mondo, una macchina tutta da costruire, un Team da preparare e i giapponesi che all’orecchio gli dicono “vinciamo, vero? Vinciamo subito, vero?”.
Vi è già giurisprudenza, mi si dice, sulla gran copia di ragioni che hanno portato Woking a decidere per Button al posto di Magnussen: ragioni di ordine economico, pratico, tecnico e politico. Dal canto mio, e posto che tutte le ragioni sopracitate sono formalmente corrette, l’unica cosa che mi sento di dire è che il rinnovo di Button è una grande notizia per la McLaren e per la Formula 1 tutta. Ed è una grande notizia perchè, per una buona volta, si è scelto un campione al posto di un talento, si è preferito l’hic et nunc al domani in potenza, in possibilità.
Siamo chiari: Button è alla sedicesima stagione dietro un volante di Formula 1, ha vinto 1 campionato del Mondo, 15 gare, centrato 50 podi, preso parte a 268 Gran Premi e collezionato un totale di 1.198 punti nella sua storia. Non è esattamente il primo che passa per la strada e quest’anno, a parità di macchina, ha dato paga (126 a 55) al suo compagno di squadra. E’ un pilota ed un uomo elegante, che rappresenta perfettamente lo spirito glamour, galantuomo, very british, di quello che deve essere la F1. Sì, conta anche questo.
Da lungo tempo, forse per l’età incalzante e gli “enta” sempre meno benigni, vado vaticinando che non mi pare un’idea brillante quella di farcire la griglia di poco più che ventenni saltati in F1 direttamente dal kart o dal Campionato Macchinine a Pedali della provincia di Eindhoven. Ne capisco la fascinazione, forse anche il senso di marketing, ma non si deve fare in modo che il trend divenga una moda, allontanando piloti neppure venticinquenni (ehm ehm Vergne ehm ehm) motivando la scelta con l’età. Si badi: non è uno schierarsi alla cieca contro i giovani, anzi più volte questo blog ha implorato a gran voce per una maggiore cura dei vivai sportivi, ma un dovere necessariamente ribadire che cosa significa la F1 nel panorama sportivo e motoristico planetario. Il circus deve essere un punto di arrivo, non uno step, se no il tutto perde valore, perde significato.
E’ un bene, dunque, che McLaren abbia tenuto Button, mettendosi sulle spalle tutto il peso di una responsabilità -lo ripeto- non facile. Ora deve dare alla coppia anglo-iberica un’auto competitiva e un team motivato, poichè le scuse son finite e i giapponesi quando si tratta di vincere coi motori non hanno la stessa pazienza degli emiliani.
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