In Formula 1

sebastian-vettel-maranelloDa svariato tempo, o meglio ab urbe condita, questo blog propina con insistenza ai suoi lettori storie provenienti dal binomio sport e marketing. Fatte salve le necessarie e pur validissime ragioni di mission e vision aziendali, chi scrive è sinceramente convinto che l’accoppiata sia oltremodo vincente anche per ragioni narrative e concettuali.

Spiego. A causa di calviniane peripezie (Italo, non il teologo Giovanni, beninteso) ho sempre, o quasi sempre, avuto la fortuna di lavorare all’interno del mondo dello sport, giungendo alla rudimentale conclusione che ora propongo: sebbene ragioni di ordine sintattico-lessicali ci impongano di pensarla diversamente, un’azienda e i meccanismi che la sorreggono non sono affatto diversi da una squadra sportiva e dai meccanismi che la fanno succedere (nel senso di vincere). Tuttavia, e forse a causa di una nazionalpopolare passione per l’autosabotaggio già teorizzata da Jones e Berglas nel 1978, capiamo benissimo una partita di pallone o una stagione agonistica e molto meno un processo aziendale o le motivazioni che sorreggono le ragioni di business.

Fatta questa non succinta e non esauriente premessa, dico che quanto fatto ieri da Sebastian Vettel allo stabilimento Ferrari di Maranello ha dato un’eccellente misura della portata dell’uomo-Sebastian e della nuova gestione Arrivabene-Ferrari. E di perchè le cose stanno funzionando. Di più: con mia sorpresa quest’oggi il fogliettone rosa nazionale, seppure nella sua versione digitale, metteva in primissimo piano le parole del neo-ferrarista Vettel ai mille-e-passa dipendenti della fabbrica del cavallino.

Complice il successo malese e -ancora di più- la necessità trasversale del nostro paese ad un avvicinamento storico-culturale fra vertice e base, le parole di Vettel hanno risuonato come qualcosa di nuovo, vaticinatorio e miracoloso. “Sono uno di voi” ha detto il nouvelle Sigfrido agli operai e ai tecnici modenesi “se vinco è perchè vinciamo insieme e quando sono in macchina non sono solo, sono con ognuno di voi. Grazie, grazie a tutti”.

Vettel parla Italiano, che coltiva con alti e bassi già dai tempi della Toro Rosso, indossa jeans blu e felpa rossa aziendale come tutti gli impiegati di Maranello, e non abbisogna di canovacci, discorsi scritti e ghost writers. Ancora, si presenta in fabbrica (sì, perchè a Maranello si entra tutti dalla stessa porta, dall’Amministratore Delegato ai verniciatori) alle 08.30 del mattino e pranza in mensa insieme a tutti gli altri. Con il suo vassoio gira fra i tavoli e chiede, stropicciando le parole: “Scusa, questo posto è libero?”. L’effetto è quello di Mosè dinanzi al Mar Rosso. Not literally, ma per capirci.

Svolgimento. La Ferrari sta facendo spogliatoio. Non solo come Team, ma sopratutto come Azienda. Vettel sta giocando da collante, portando il sogno Rosso del ragazzino che si faceva portare da papà a Fiorano da piccolo, urlando alla radio “Forza Ferrari” e commuovendosi sul podio. Arrivabene sta facendo il buon capofamiglia, dispensando bastone e carota in egual misura a top manager, meccanici e stagisti. Il sistema azienda sta funzionando proprio perchè a Maranello sport e business non sono distinti e proprio perchè lo sport sta dando lezione all’azienda.

Volendo ampliare, magari oltre misura, la gaussiana, continuo a dire che lo scorso weekend Italiano e quello che sta succedendo all’interno delle due nostre aziende forse più prestigiose nel mondo (Ferrari e Ducati) dovrebbe essere preso di esempio. Si è ritrovato un attaccamento ai valori, all’appartenenza, all’italianità, all’unione e all’impegno che non è stato comune nel nostro Paese per tanti anni. I vertici stanno disperatamente tentando di trovare strade nuove per ribassare la piramide, avvicinando la cima alla base nel tentativo, sognante e utopico ma bellissimo, che il triangolo si muti in cerchio.

Vettel non vincerà il Campionato del mondo e forse nessuna altra gara, ma il segnale è stato dato e già Springsteen cantava che non si può accendere il fuoco senza una scintilla. Sarebbe bello, bellissimo, che domani in tutte le aziende, nessuna esclusa, il numero uno scendesse fra gli impiegati e dicesse semplicemente “grazie”. Dicesse che se le cose vanno avanti è per il lavoro non di uno, ma di tutti. Sarebbe bello che questo paese, questa nazione facesse spogliatoio e si ricordasse che siamo tutti della stessa pasta.

Sia chiaro, il Sebastian nazionale non è -e da qui la premessa sul lessico e sulla sintassi- l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, ma funge a titolo di esempio. Idem dicasi per la Ferrari.

Ripartiamo da qui. Le lacrime di gioia agli occhi. Il cuore gonfio di orgoglio.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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