Non deve essere stato semplice, in Ferrari, scegliere di tenere Kimi Raikkonen. A parte gli sfottò da bar (di cui personalmente sono campione e me ne vanto) e le chiacchiere da sdraio (in cui comunque eccello altresì), prendere una decisione a tali livelli è comunque e sempre rischioso. Non solo perchè sul tavolo le carte sono tante -in questione sono da prendere aspetti economici, di rendimento, di costanza, di età, di “appeal” e via discorrendo- ma perchè in ciascuno dei due casi c’è l’altissimo pericolo di finire sulla graticola.
Dico due casi, e solo due, perchè a mio parere personale la decisione più importante all’interno della Scuderia non era tanto su che pilota scegliere, ma se tenere o non tenere Kimi Raikkonen. Gli altri nomi, Hulkenberg, Bottas o chi per loro, erano solo una conseguenza del rinnovo o meno del finlandese. Affidarsi ancora a Kimi significa sbrogliare il campo da una serie di scenari altrimenti incerti e generare una serie di corollari che, da qui in avanti, saranno evidenti e ovvi.
E’ evidente e ovvio che, a meno di scossoni poco probabili, a Vettel sarà affidato l’onere della rincorsa al titolo, mentre a Kimi toccherà il ruolo di scudiero. Parimenti, si è scelto di tenere una più che consolidata e sbandierata armonia all’interno della squadra, evitando rissette interne e gazzarre da cortile su quelli che siano gli ordini di priorità e i metodi di lavoro. In ultima analisi, si è scelta la Squadra, quella con la S maiuscola.
É una decisione molto anni ’90
Nel senso più positivo del termine. Trovo che sia un modo di pensare e di procedere altamente professionale, rispettoso della tradizione Ferrari e vincente, se non in termini di risultati, almeno di autorevolezza e credibilità del progetto. Mettendo da parte la notiziabilità di un nuovo pilota, l’interesse mediatico per il rendimento della nuova coppia e del nuovo corso, Maranello ha scelto la continuità e la stabilità del gruppo di lavoro. Ha scelto un gruppo più rodato anche se forse meno “marketable”, ha optato per un pilota più vecchio a discapito della tendenza moderna a buttare nella mischia ragazzini senza neppure la patente per la macchina.
Come negli anni ’90 Maranello riparte da Maranello. Non si parla di piloti, si parla di Ferrari. E, semantica a parte, non è una scelta da poco.
Dal canto mio, non sono mai stato un grande amante dei rapidissimi rimescolamenti e avvicendamenti a cui lo sport moderno ci ha abituati. Non sono un fan degli allenatori che rimangono su una panchina per 5 giornate, dei giocatori che cambiano casacca ogni stagione, o dei presidenti che ogni estate vanno con la lista della spesa a fare acquisti in agosto per poi dire orgogliosi “ecco, con questi vinciamo”.
Non è questo il mio concetto di sport, di squadra e di successo: io sono convinto che la squadra debba valere più della somma dei suoi singoli. Mi piacciono gli Alex Ferguson e i Karl Malone, quelli che hanno indissolubilmente legato un nome a una squadra, poi a una dinastia ed infine a una leggenda.
Forse oggi, al netto di tutto, Kimi Raikkonen non è neppure uno degli 8 piloti migliori della griglia. Negli ultimi tempi ha portato risultati altalenanti e prestazioni perennemente inferiori a quelle del compagno di squadra. Forse Bottas è più veloce. Forse Hulkenberg è più costante. Forse.
Però Kimi conosce Maranello e chi ci lavora. É parte di un’idea di Ferrari, è l’ultimo campione in Rosso, è un lavoratore serio e affidabile quando si tratta di comunicare con gli ingegneri e i progettisti. É uno che va d’accordo con il suo compagno di squadra e con il suo Team Principal. E, cosa più importante, è uno che ha capito e accettato un ruolo ben preciso all’interno della Scuderia. Tutto questo non è poco, nel disegno di insieme.
Metto su Parklife dei Blur e mi guardo una puntata di Friends. Che a me le seconde adolescenze piacciono tanto.
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