Vuole il detto che in ogni grande storia d’amore il risultato finale sia un po’ più della somma delle singole parti. Insomma, uno più uno che non fa due ma tre e tutta quella serie di retoriche che non sai mai se siano sciocchezze da ragazzi o se un fondo di verità un po’ ci sia.
Ad ogni modo, quella terminata ieri sull’umido circuito del Red Bull Ring è senza ombra di dubbio la più grande storia del motociclismo mondiale e, anche qui senza dubbio, ha avuto come risultato molto più della somma delle parti.
Il motociclismo ha dato tanto a Valentino Rossi: le moto hanno reso il ragazzo di Tavullia un campione di statura mondiale, una leggenda dello sport, un imprenditore di successo. Un volto da copertina, con tutto quello che ne consegue.
Di contro, anche Valentino ha dato tanto al mondo delle moto: con lui le corse su due ruote sono entrate nelle case e nel cuore di un paese affamato di eroi. Con lui il motociclismo si è tolto di dosso quella patina un po’ logora e sdrucita del passatempo per pocodibuono e si è messo il vestito della domenica, quello dell’hobby di alto profilo e dello sport figo ed inseguito dai marchi.
Ma la somma delle parti, l’unione di Valentino Rossi e del mondo della MotoGP, è stata qualcosa che ha saputo andare ben oltre la felice unione di due entità di successo. Lo ha detto bene ieri Jorge Lorenzo -da sempre un vicino di casa piuttosto seccante- quando ha affermato che Rossi sta là con Ali, Senna e Micheal Jordan in termini di valore, di importanza storica. E buonanotte ai suonatori.
La somma delle parti -di nuovo- trascende il lato sportivo per valicare quello della cultura, della narrativa, dell’umano. Perchè paradossalmente l’importanza dell’uomo che ieri ha deciso di smettere con le corse in moto ha poco a che fare con le corse in moto e molto a che fare con come ci sentiamo noi nei confronti delle corse in moto, dello sport e di un’epoca storica -che è irrimediabilmente finita.
Sono diversi anni che Valentino Rossi non è più competitivo: l’ultimo assalto al decimo titolo mondiale è forse stato quello infangato dalla polemica con Marquez e con Lorenzo. Poi, in verità, sono stati pochi gli acuti, anche a causa probabilmente di un mezzo non sempre competitivo e -perchè no- di una mai risolta lite con il calendario che dice che poco importa il cuore, a 41 anni è difficile andare forte.
Eppure l’importanza di Rossi è nella presenza, più che nella sostanza. Ha a che fare più con la dimensione spirituale che con quella fattiva, di gomma e benzina bruciata. Nella liturgia della domenica pomeriggio ci vuole una moto con il numero 46. Nella eucarestia del pubblico che si reca festante sui prati di un circuito ci vuole l’alba gialla di migliaia di cappelli e bandiere con il suo nome.
È stato il più grande di tutti i tempi? La domanda è tanto naturale quanto degna di rimanere sospesa a mezz’aria. In che senso?A livello di velocità pura, probabilmente gli vengono prima Stoner o lo stesso Marquez. In termini di dominio assoluto, è possibile che si debba citare prima Agostini, o Doohan. In termini di stile, di classe purissima, forse gli si dovrebbero anteporre Barry Sheene o lo stesso Lorenzo.
Eppure Valentino è il motociclismo, e il motociclismo è Valentino.
Proprio per questo l’eredità di Rossi è materia di difficile disimpegno, e che necessiterà di una cura notarile superiore alla media. Alla MotoGP non serve solo qualcuno che domini sulla pista -quello c’è già e da tempo, né semplicemente un personaggio un po’ guascone e sempre pronto alla battuta o a quei festeggiamenti un po’ così. Se ne va il guardiano del faro, ed ora occorre trovarne un altro.
Rossi lascia una MotoGP in salute, ricca e largamente conosciuta. L’espansione fortissima nel Sud Est Asiatico, l’ingresso di importanti big spender stranieri, gli investimenti nel digitale e nella sostenibilità sono i segni più tangibili di uno sport che sta bene e che siede di diritto nel Gotha dell’entertainment internazionale.
Ma la moto è, per sua stessa natura, un mondo effimero. Lontano dall’immediatezza del pallone calciato o dalla necessità di un’automobile. La moto è sogno, incanto, poesia, capriccio, estro, fantasia e volo. E tutto questo Valentino lo ha incarnato come nessun altro.
Il mondo è pronto per vedere l’ultima metà di stagione del Dottore su una moto. Non vederlo sulla griglia di partenza, nel 2022, sarà strano e forse per qualcuno anche un po’ malinconico. Mica per il risultato, quello no. Ma perchè alla fine con Valentino c’è chi ci è nato, chi ci è cresciuto e perfino chi ci è invecchiato. Come me. Ma che vuoi mai.