In Formula 1

I tifosi più giovani e chi si è appassionato solo di recente alla Formula 1 probabilmente faticano a ricordare un’epoca in cui Lewis Hamilton e la sua Mercedes non vincevano le corse e dominavano i campionati. Negli ultimi otto anni, ed esattamente dall’inizio dell’era ibrida, la macchina di Brackley e il pilota britannico hanno collezionato 7 Campionati del mondo Costruttori, 7 Campionati del mondo Piloti e vinto più di 100 Gran Premi. Quello che la stella di Stoccarda sta facendo in Formula 1 non è soltanto destinato ad entrare nella leggenda dell’automobilismo, ma -verosimilmente- a segnare la storia dello sport di squadra.

Se è vero infatti che le dinastie sono sempre esistite nello sport -basti pensare ai Chicago Bulls di Michael Jordan, o allo straordinario dominio del binomio Marquez-Honda in MotoGP– non è errato dire che la impressionante cavalcata del Team AMG Mercedes è qualcosa di leggermente diverso da tutto il resto.

Una delle principali ragioni di questo assunto è da ricercarsi nel fatto che la Formula 1 è uno sport sensibilmente diverso da tutti gli altri. La massima serie delle ruote scoperte ha nell’equazione una serie infinita di elementi e di variabili, a partire dalle dimensioni dei team fino ad arrivare ad un complesso sistema di regole e limitazioni ingegneristiche all’interno del quale è necessario muoversi. A complicare ulteriormente il rompicapo, molti dei team sono estensioni in pista di enormi gruppi dell’automotive, presenti nello sport per ragioni di marketing, di prestigio e di ricerca e sviluppo, e che pretendono dalle competizioni risultati e innovazione, solitamente in tempi brevi.

In sostanza, e come ogni addetto ai lavori o consulente in un’agenzia di marketing sportivo può ribadire, vincere in Formula 1 è qualcosa di molto più complesso del semplice guidare un’automobile più velocemente della concorrenza. Anche se, ovviamente, anche quello non guasta.

mirco lazzari ml magazine motorsport photography

Un dominio lungo quasi dieci anni

Anche se oggi può apparire strano, Mercedes non è una delle squadre dal pedigree più blasonato della massima Formula. Ad impressionare, semmai, è la ratio fra partecipazioni e numero di vittorie. Se sommiamo sia i campionati costruttori che quelli piloti, un Team ufficiale Mercedes ha preso parte solo 22 volte nei 71 anni della disciplina, vincendone 16.

Il primo approccio delle Frecce d’Argento (nome dovuto alla colorazione cromata delle monoposto tedesche nelle competizioni mondiali) in Formula 1 è del 1954 quando Manuel Fangio, abbandonata la Maserati, conduce la W196 al titolo mondiale. Fangio si ripeterà anche l’anno dopo, ma i festeggiamenti saranno amari: il disastro al Gran Premio di Le Mans, dove un terribile incidente con più di ottanta vittime fra piloti e spettatori convincerà definitivamente Stoccarda ad abbandonare la pista e dedicarsi unicamente allo sviluppo stradale.

Il team AMG Mercedes che conosciamo oggi deriva in realtà dalla Tyrrell del 1998, di cui ancora oggi la squadra anglo-tedesca conserva il company number, ovvero il numero di registro all’elenco delle imprese britanniche. La Tyrrell sarebbe poi stata rilevata nel ’99 dalla British American Racing (di cui si ricorderà la famosa livrea a metà, divisa fra gli sponsor del tabacco Lucky Strike e 555) prima di divenire -nella prima metà degli anni 2000- Honda Racing. Nel 2009 Honda cede il giocattolo, abbastanza malandato a Ross Brawn, nome celebre per avere portato pochi anni prima al trionfo planetario nientemeno che Michael Schumacher e la Ferrari. L’esperimento di Brawn, la Brawn GP, sarà tanto breve quanto fortunato e discusso: scovato in maniera assai scaltra un piccolo cavillo nel regolamento il team britannico costruì un vero e proprio bolide con cui conquistò mondiale costruttori e piloti (con Jenson Button), prima di vendere baracca e burattini e salutare la compagnia.

Ad acquistare il tutto, nel 2010 è proprio Mercedes, che per 170 Milioni di Dollari prende possesso della sede di Brackley e della squadra -prontamente rinnovata per intero- e si mette al lavoro per preparare le prossime mosse. Bisogna attendere 4 anni prima che il primo titolo mondiale giunga nel Northamptonshire -un tragitto breve, in realtà, se si considerano i neanche 30 chilometri che separano gli Headquarter Mercedes F1 dalla sede di Red Bull Racing a Milton Keynes. Sono 4 anni di grande pianificazione, dove il team di Toto Wolff pone le fondamenta per il successo che tutti noi conosciamo oggi e che ha di fatto rivoluzionato il livello massimo del motorsport.

Dal 2014 il team AMG Mercedes F1 ha sbaragliato la competizione, alzando l’asticella ad un punto tale che l’unica sfida davvero possibile per il confermatissimo Hamilton era rappresentata dai suoi compagni di garage Nico Rosberg e -in seguito- Valtteri Bottas. È qui bene intendersi su un tema: non che gli altri non ci abbiano provato. In questi sette anni Ferrari prima e Red Bull poi, guidate da piloti di assoluto spessore come Vettel, Ricciardo, Raikkonen e Verstappen hanno cercato di dare -senza riuscirci- filo da torcere alle due schegge argentate. Ma tale è il livello del divario che in taluni anni il distacco fra il Campione del mondo e il primo pilota su macchina rivale supera largamente i 100 punti. È il caso del Campionato del mondo 2020, in cui Lewis Hamilton fa segnare l’incredibile cifra di 374 punti, lasciando Verstappen (best of the rest) a 133 lunghezze.

Cosa è, dunque, a rendere così diverso il Team Mercedes F1? Come si costruisce un dominio sportivo così imponente, e come ha fatto la corazzata anglo-tedesca a cementare un simile primato per così tanto tempo riuscendo ad alzare anno dopo anno l’asticella?  Opinione di chi scrive queste righe è che le ragioni dietro il successo delle Frecce d’Argento possano essere riassunte -magari in maniera troppo semplicistica- in quattro macroaree: Cultura, Auto, Persone, Piloti.

Cultura

Giornalisti, insider, frequentatori storici del paddock e addetti ai lavori mettono sempre al primo posto la “Cultura Mercedes” quando si chiedono loro gli ingredienti per lo strapotere della squadra di Toto Wolff. “Cultura”, si capirà bene, è qui usato come un termine molto ampio -e sempre più inflazionato nel mondo dello sport- che racchiude un complicato mix di ambiente, atteggiamento, coesione, mission, vision e, in sostanza, un modo ben preciso di fare le cose. È qualcosa che non si può semplicemente insegnare e che, certamente, non si costruisce dall’oggi al domani.

Non si commette un errore a dire che parte della cultura sportiva del Team di Brackley origina direttamente dalla lunga tradizione di un marchio storico come Mercedes-Benz. Nome iconico e prestigiosissimo del mercato dell’auto, il brand di Stoccarda è da sempre sinonimo con il meglio dell’ingegneria tedesca. Per quanto possa sembrare stereotipico infatti vi è ancora qualcosa che rende le vetture tedesche iconiche e riconoscibili nel panorama globale: l’attenzione al dettaglio, la robustezza della costruzione, la qualità dell’intero progetto, l’inconfondibile design sempre all’avanguardia hanno fatto di Mercedes, ma anche di BMW, di Audi e di Porsche vere icone delle quattro ruote.

La Formula 1, per ragioni piuttosto ovvie, condivide molto con l’industria dell’automobile. Nell’uno e nell’altro caso siamo davanti ad anni di preparazione, a processi di lungo periodo e soprattutto ad un pensiero strategico di ampio raggio che fa sì che sia nel primo che nel secondo caso si impieghino un gran numero di persone che stanno oggi progettando l’auto che vedremo in pista e in strada nei prossimi cinque o dieci anni. È un mondo affascinante, ma che appunto non si inventa su due piedi.

Questa cultura, questo modo di fare le cose così difficile da spiegare diviene in realtà evidente in ogni dettaglio e in ogni singola azione: va dal modo di vestire al modo di parlare ai giornalisti, dalle scelte di strategia in pista all’adesione a grandi tematiche sociali. È essere moderni, senza mai rinunciare all’importanza della propria tradizione.

Fu proprio questa cultura, vincente ma al tempo stesso ordinata, ad affascinare Lewis Hamilton nel 2013 quando scelse di passare dall’allora vincente McLaren ad una macchina che, all’epoca, sgomitava a centro gruppo.

Auto

Il vero capolavoro Mercedes lo dipinge nel 2013, quando la Formula 1 decide di introdurre un imponente cambio nella regolamentazione: per la prima volta dopo quasi un ventennio, la massima Formula abbandona il tradizionale V8 per una powertrain dalla configurazione completamente nuova.

È una completa rivoluzione. Il nuovo V6 a 90° da 1.6 litri è un oggetto completamente differente e traccia un massiccio distinguo con il passato. La sovralimentazione, proibita dal 1988, ritorna ad essere legittimata dal nuovo set di regole consentendo così la reintroduzione del turbo mentre il sistema MGU per il recupero dell’energia termica e cinetica ottiene un definitivo via libera. Infine, la FIA impone una restrizione per il “fuel flow” (il consumo di carburante) e per i giri massimi del motore, che vengono portati da 18.000 a 15.000.

Come è prevedibile, il nuovo regolamento incontra più di una resistenza e solleva diversi malumori, fra cui agli annali va certamente annoverato quello del capo ingegnere Red Bull Adrian Newey. Ma è proprio in questo clima di incertezza generale che Mercedes può giocare la carta che per anni ha preparato minuziosamente dentro la manica: spinta da una powertrain di eccezionale fattura, la W05 sbaraglia la concorrenza e conquista il Campionato del Mondo targato F1 Mercedes 2014. È il primo di sette trionfi consecutivi e quello che apre definitivamente l’era del dominio delle Frecce d’Argento, consentendo contemporaneamente al Team di concentrarsi sullo sviluppo di altre aree della vettura.

Dal 2014 ad oggi la Mercedes cambia completamente pelle, adottando nuove soluzioni per sospensioni, telaio ed aerodinamica. Si alternano piccole modifiche a brillanti introduzioni, come quella del DAS (Dual Axis Steering), che permette ai piloti di modificare l’angolo di incidenza delle ruote anteriori, aumentando il grip meccanico e rendendo più semplice il portare in temperatura le gomme.

Persone

Le persone giuste al posto giusto per il lavoro giusto. È questa la filosofia, semplice ma efficace del Team AMG Mercedes F1. Il Team Principal Toto Wolff guida un gruppo di esperienza e talento, all’interno del quale trovano posto James Allison come Direttore Tecnico e Hywel Thomas come Capo della Powertrain. Ma non è solo il senior management ad essere impeccabile: Brackley può contare su una delle pit crews più veloci del circus e su alcuni dei Race Engineer di maggior spessore. Fra questi c’è certamente Peter Bonnington, Bono, ingegnere di pista di Lewis Hamilton, oramai famoso anche ai tifosi per il suo aplomb molto British e per alcune frasi trademark come la ormai proverbiale “Get in there, Lewis”.

Da menzionare anche il ruolo che Niki Lauda, leggenda della Formula 1, ha avuto per Mercedes fino al triste giorno della sua scomparsa nel 2019. Lauda, che figurava nell’organigramma come Direttore non Esecutivo, ha giocato un ruolo di prim’ordine in alcuni momenti chiave, fra cui la firma dello stesso Hamilton nel 2013.

Piloti

Infine, e come è quasi scontato menzionare, dietro il volante Mercedes può contare sui servigi di uno dei più incredibili talenti che la Formula Uno abbia mai visto. L’uomo di Stevanage ha vinto 7 Campionati (uno con la McLaren e sei con Mercedes), trionfato in 98 gare, conquistato 100 pole Position e totalizzato più di 3872 punti. Numeri ancora più straordinari se si pensa che questo è un ruolino in costante aggiornamento.

È evidente che Hamilton è più di un semplice pilota: l’atteggiamento rock-and-roll, l’impegno nelle cause sociali, l’amore per la moda e per la musica ne fanno un personaggio iconico, oltre che un testimonial d’eccellenza. Amato o odiato, apprezzato o contestato, Lewis è senza dubbio alcuno un caso unico in un paddock assai conformato alle regole e all’etichetta. Sportivamente, tuttavia, se si può discutere del fatto che Hamilton sia o meno il più grande di tutti i tempi, è invece palese che siamo al cospetto del più straordinario interprete degli ultimi 15 anni di automobilismo

Dal 2014 e sino ad oggi, solo un uomo ha saputo battere il Re al suo stesso gioco e, ironia del destino, questo ruolo è toccato all’amico d’infanzia e compagno di scuderia Nico Rosberg. Il tedesco, che aveva fatto del battere l’inglese quasi un’ossessione, riuscì finalmente a vincere il titolo nel 2016, dopo una serie di infinite battaglie, e si ritirò dalla F1 poco dopo. Ora tocca a Valtteri Bottas l’onore e l’onere di guidare la macchina più veloce del lotto e condividere il garage con il Campione del Mondo. Quello del finlandese è per la verità un ruolo tanto invidiato quanto scomodo: poche sono state le occasioni in cui Valtteri è riuscito a piazzarsi davanti al compagno e sostanzialmente ancora nessuna quelle in cui lo ha impensierito per la lotta al titolo.

Dietro Hamilton e Bottas, Mercedes può anche contare su un roster promettente di giovani piloti molto talentuosi, dall’ormai ben noto George Russell a Nyck de Vries e Stoffel Vandoorne, che ora competono nelle file della Formula E, campionato elettrico che Mercedes ha intenzione di dominare almeno quanto sta facendo con la Formula 1

Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e politica all’Università di Bologna, da sempre è appassionato di marketing, design e sport. Già prima di terminare gli studi inizia a lavorare nel marketing sportivo e scopre l’importanza di tutto quello che c’è al di fuori dal campo di gioco. Dal 2012 è in RTR Sports, di cui oggi è Head of Communication e Marketing Officer per i progetti legati alla Formula 1, alla MotoGP e al meglio degli altri sport a motore a due e quattro ruote.
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