Sono le ore 15.02 di sabato quando l’urlo dei quasi 300CV dei prototipi MotoGP si alza al cielo e i ventidue bolidi si lanciano verso le fauci spalancate della prima curva. Luca, che non ha mai visto da vicino una moto da competizione prima d’ora, si tappa le orecchie con il palmo delle mani mentre dal muretto dei box cerca di seguire le moto che gli sfrecciano davanti.
Sul viso ha dipinto un sorriso, misto di adrenalina, eccitazione e incredulità. Non appena i piloti imboccano la prima piega a destra e scompaiono nell’orizzonte delle pieghe, anche il suono degli scarichi si fa più lontano. È solo allora che Luca si gira e si guarda attorno: il cielo azzurro, le centinaia di migliaia di spettatori con il fiato sospeso, le bandiere che si lasciano carezzare dal vento, i colori iridescenti dei box e le divise inamidate degli staff che ora seguono l’azione sugli schermi dentro i garage. “Tutto questo è assolutamente incredibile”, dice.
Se quello di Luca è un nome di fantasia, tutto il resto di questa piccola storia non lo è, ed è qui a testimoniare l’importanza decisiva dell’aspetto esperienziale della sponsorizzazione sportiva.
Toccare per credere
Come è già stato ricordato numerose volte in queste pagine, una delle peculiarità della sponsorizzazione sportiva è il ruolo centrale della multisensorialità nello sport e nell’evento sportivo. Sono numerosi gli studi che mostrano la potenza emotiva e cognitiva dei 5 sensi per contribuire alla potenza comunicativa dello sport e dunque all’efficacia del marketing sportivo.
Nel suo “Multisensory impact of sport events” (Schriftenreihe der HHL Leipzig Graduate School of Management, 2016), Thorsten Tham scrive: “L’approccio multisensoriale e olistico dei sensi che può essere realizzato con successo [nello sport] con l’aiuto di strumenti di comunicazione dal vivo facilita l’unione personale, diretta e interattiva della property sportiva con i visitatori durante un evento e consente di memorizzare esperienze uniche e sostenibili. Sulla base di questo fatto, gli esperti di discipline teoriche e pratiche sono convinti che gli approcci multisensoriali continuino a guadagnare importanza nell’area del brand management.”
Per i tifosi e gli appassionati di tutto il mondo, questa non è una notizia, anzi: il consumatore di sport sa da sempre che c’è differenza fra guardare alla televisione e andare allo stadio. E la differenza non a caso sta proprio nel coinvolgimento di tutti quei sensi che lo schermo televisivo non riesce a trasmettere. C’è il fresco sulla pelle di una sera d’autunno, il sapore di una birra consumata sugli spalti con gli amici, la sensazione inspiegabile che si prova quando il pubblico canta e salta all’unisono. Ma non solo: c’è il viaggio verso lo stadio o il circuito, c’è la passeggiata fra gli stand dei venditori di merchandising, c’è l’immancabile coda al bar per prendere qualcosa da mettere sotto i denti. Tutto questo, ci dice oggi la letteratura, contribuisce a cementare cognitivamente l’esperienza, e a rendere più potente il ricordo e l’emozione da esso generata. Componenti emotive che si assommano, in sostanza, a quelle cognitive.
c Emozioni, sponsorizzazioni, engagement
Chi si occupa di marketing conosce l’importanza delle emozioni nella costruzione del valore. Non è un caso che negli anni stia diventando sempre più centrale il concetto di Emotional Brand Attachment (EBA), ovvero della relazione emotiva che si sviluppa nei confronti del brand quando questo è capace di generare sentimenti ed emozioni di segno positivo. In parole spicce: più qualcosa è capace di farci stare bene, più siamo portati a sceglierlo nel tempo.
Chiudendo il cerchio del caso in questione, è facile vedere come questo approccio alla multisensorialità sia sempre più importante nelle sponsorizzazioni: se il toccare con mano è in grado di scatenare in noi più emozioni, allora è conseguentemente in grado di avere un effetto sul comportamento del consumatore.
Più sono coinvolti i cinque sensi, più alto è l’engagement, più alta l’efficacia della sponsorship, maggiore il vantaggio per il brand.
The age of understatement
Questo ragionamento prende ulteriore struttura quando messo a sistema con un altro tema spesso toccato in queste pagine, ovvero l’importanza sempre calante della visibilità (exposure) del marchio all’interno della sponsorizzazione sportiva moderna.
Su questo tema è ben intendersi per evitare di creare inutili confusioni. Non si sta qui dicendo che apporre un logo su una maglia di Premier League, una macchina da Formula 1 o una MotoGP sia inutile: grandissimi brand e grandissime sponsorship partono proprio da posizioni di visibilità prestigiosa, che però sono un punto di partenza, e non di arrivo di un percorso. Si sta dicendo che se quel logo è lasciato solo e privo di attivazioni che ne sottendano le ragioni e le strategie di marketing, allora è pressochè inutile. In un’epoca in cui ogni consumatore è sommerso da centinaia di pezzi di comunicazione ogni giorno, e in cui l’esposizione a una incredibile quantità di marchi è in costante crescita, la visibilità senza engagement è infruttuosa.
Di nuovo, e per semplificare, vedere senza toccare è oggi poco efficace.
In tutto questo, un piccolo vortice è stato creato -nell’ultimo decennio o poco più- dalla comparsa fragorosa dei social media e dal loro ruolo immediatamente centrale nella quotidianità di tutti: consumatori, brand e property sportive. Il vortice -e la conseguente vertigine- nascono in primo luogo dalla natura ibrida dei social e dal loro uso estremamente flessibile e cangiante. C’è giurisprudenza infatti fra gli studiosi di comunicazione sulla collocazione del social media in strategie Above the Line o Below the Line: se è certamente vero che con un post efficace si raggiungono tantissime persone, è anche vero che l’interazione che questi strumenti consentono è altamente personalizzata. Salomonicamente alcuni esperti propongono di collocare dunque i social in una nuova categoria di strumenti di comunicazione, quelli Through the Line.
Al netto delle speculazioni teoriche la domanda che oggi chi si occupa di marketing si pone è la seguente: i social media fanno visibilità o fanno engagement? Se all’inizio dell’esperimento social network infatti si era convinti che il like, la condivisione, il commento fossero operazioni “attive” di coinvolgimento, è oggi sempre più chiaro che i grandi brand puntano sui grandi numeri degli influencer -fra cui le property sportive e gli atleti- per generare nuova exposure. Scomparso il grande entusiasmo degli inizi -e superata il grande disamoramento del periodo pandemico, in cui ci si è accorti che ben poco si può fare su Instagram o Facebook se poi non si corre e non si gioca per davvero- è oggi lampante che l’efficacia dei social è in calo specie come driver commerciale diretto.
Uno studio del 2024 di Teresa Fernandes e Rodrigo Oliveira intitolato “Brands as drivers of social media fatigue and its effects on users’ disengagement: the perspective of young consumers” spiega proprio questo. Scrivono gli autori “I risultati della Social Media Fatigue possono essere dannosi sia per gli individui che per i marchi. Per i marchi, la SMF è associata a una diminuzione dell’impegno sui social media, con gli utenti che prestano meno attenzione ai messaggi del marchio e diventano più selettivi nella loro esposizione ai media, con un impatto negativo sulle prestazioni dei brand”.
Anche qui, e per concludere questa parentesi, è bene precisare che non si sta dicendo che i social media non sono uno strumento di comunicazione prezioso e popolare. Si sta solo dicendo che qui, come in altri ambiti, la sovraesposizione dei marchi sta facendo crollare l’efficacia dello strumento e -in taluni casi- allontanando il consumatore dal marchio anzichè avvicinarlo.
Attivazioni ed esperienzialità
Questo approccio alla multisensorialità come booster della performance della sponsorizzazione rimette con grande forza gli eventi e la partecipazione al centro del sistema delle attivazioni. Benefit di marketing spesso trascurati come l’uso di showbike e showcar, esperienze in prima persona come le hospitality o i factory tour e occasioni di contatto con la property come i meet and greet o le riders’ appearances diventano nuovamente fondamentali nelle logiche di marketing aziendale.
Grandi serie internazionali, come la Formula 1 e la MotoGP offrono un ulteriore destro alle aziende sponsor, in quanto pittaforme mobili di marketing. Questi campionati, che toccano decine e decine di paesi diversi nel corso della stagione, consentono ai grandi gruppi multinazionali attivazioni on-site e possibilità di engagement dal vivo infinitamente superiori: si pensi agli eventi nelle città che ospitano i Gran Premi o alle possibilità di hospitality per VIP e stakeholders delle diverse nazioni.
La progressiva trasformazione degli eventi sportivi che si sta vivendo da diversi anni a questa parte, da mera manifestazione a grande festival di contenuti è un ulteriore passo in questa direzione. Gare e partite ora sono circondate per ore -e a volte giorni- da concerti, parate e esibizioni di ogni specie, oltre che da una ricca e crescente offerta di chioschi per il merchandising e per il food and beverage. Gli organizzatori – che sono anch’essi parte del grande mondo delle property sportive, sanno bene che più gli utenti stanno fisicamente nell’area dell’evento, più toccano e partecipano, più forte sarà il loro attaccamento all’evento stesso e più alti i consumi e la possibilità di ritorno l’anno successivo.
Il futuro della sponsorizzazione, oggi
Per i marketer e gli operatori del settore la sfida è innanzitutto superare le logiche pregresse e stantie legate al vecchio concetto di sponsorizzazione e comunicarle e promuoverle con chiarezza. Se come si è detto la visibilità non è più al centro delle dinamiche della sponsorship -o altro non è che la famosa punta dell’iceberg- è necessario oggi che nuovi meccanismi intervengano e si costruiscano nuovi modelli di partnership efficace e basata su rinnovate basi teoriche e pratiche. Come visto, la necessità di un ritorno alla tangibilità e l’importanza dell’aspetto esperienziale sono solo alcuni aspetti di questa nuova impresa.
Alcune domande saranno centrali nei prossimi anni.
Come permettere a tutti di ingaggiare efficacemente e in prima persona con i brand sponsor, con le property sportive, con gli eventi? Quali azioni ipotizzare e come collegare gli aspetti legati all’esposizione del marchio, all’attivazione della sponsorizzazione e al marketing online e offline? Come usare il digitale per valorizzare l’esperienza in prima persona e non unicamente come alternativa all’esperienza in prima persona? Come personalizzare e rendere ancora più memorabile l’ultimo metro di comunicazione che dallo sponsor o dalla property arriva all’utente e al consumatore?
Numerosi sono gli esperimenti e le esperienze già avviate per rispondere alle suddette questioni ed i risultati sono affascinanti ed emozionanti. Quando i nuovi paradigmi riusciranno a concretizzarsi e poi a tradursi in una pratica generalizzata, saremo allora entrati in una nuova -verosimilmente più fruttuosa- era della sponsorizzazione sportiva.