In Formula 1, Formula1

I piloti di Formula 1 indossano il cappello per interviste, conferenze stampa e momenti con il pubblico e i media perchè è un importantissimo spazio di visibilità per sponsor e brand. 

Nelle massime serie del motorsport il cerimoniale di come i piloti si presentano alla stampa è abbastanza complesso e ben codificato: diversi dettagli, ormai compiuti con grande naturalezza, che alla base hanno strategie di comunicazione e marketing assai definite.

Non v’è da stupirsi. In palcoscenici così prestigiosi e con visibilità globali così ampie, rider e driver sono la stella più luminosa del firmamento e uno dei punti focali dell’attenzione dei media e dei tifosi. Ogni loro apparizione è studiata con cura e progettata per essere commercialmente e comunicativamente vantaggiosa per le property e per i rights holder.

Di questa strategia fanno parte abbigliamento, accessori, cappelli, orologi e molto altro. Supporti di comunicazione che sono lì sia in quanto largamente aspirazionali, sia perchè straordinariamente visibili.

La visibilità della sponsorizzazione in Formula 1 e MotoGP.

L’uso strategico del cappello (solitamente un berretto da baseball, ma in passato a volte anche sostituito da una cuffia o, per le gare texane da un cappello da cowboy) ha molto a che fare con gli studi sulla visibilità nelle sponsorizzazioni.

In passato si era soliti credere che le dimensioni -in termini di superficie- di un logo fossero la chiave per il successo. Più uno sponsor era grande, più era efficace. La modernità e i recenti sistemi di rilevazione dell’exposure hanno invece scientificamente dimostrato che a essere più importanti sono il posizionamento e la leggibilità del logo stesso, anziché la sua dimensione.

Come è evidente, l’ago della bilancia sono molto spesso le inquadrature televisive e fotografiche che ritraggono piloti e team principal durante le dirette o nei servizi fotografici: primi piani o mezzi busti che hanno il focus sul viso e sulla prima parte del busto, lasciando praticamente invisibile tutto il resto. In buona sostanza, un logo enorme posizionato laddove non si può vedere è assolutamente inutile.

Il cappello in questo ha un ruolo decisivo poiché è proprio laddove vi è la massima attenzione del tifoso: il viso e la testa del pilota.

Perché i piloti portano il cappello

Per le ragioni descritte sopra, il cappello diventa un eccellente strumento di comunicazione in quanto gode di una straordinaria visibilità.

I loghi degli sponsor, delle property e -in alcuni casi- anche messaggi di carattere sociale e di solidarietà ottengono da quel supporto un prestigio e un’esposizione senza pari.

L’uso del cappello, nella maggior parte dei casi, non è volontario. Sono le squadre e i manager a chiedere ai loro piloti di indossare il copricapo appena scesi dalla macchina o dalla moto, appena entrano in conferenza stampa o quando lasciano alberghi e motorhome. Non è inusuale vedere gli assistenti o gli addetti alla comunicazione porgere con grande sollecitudine cappello, borraccia e orologio nel momento in cui un atleta affronta le telecamere.

Ovviamente, ci sono eccezioni a questa regola non scritta. Fece ad esempio notizia nel 2015 la decisione del pilota Mercedes Lewis Hamilton di non indossare il cappello ufficiale del team in quanto non conforme ai suoi gusti e, a sua detta, negativo per la sua immagine.

Quale cappello portano i piloti?

Gli osservatori più attenti sanno bene che il cappello che i nostri beniamini indossano non è sempre lo stesso. Anche in questo caso, infatti, diversi accordi commerciali regolano l’uso di questo prezioso supporto.

Nel caso della MotoGP e della Formula 1, ad esempio, sono i fornitori di pneumatici Michelin e Pirelli ad apparire sui berretti che i primi tre classificati della corsa indossano sul podio e nel parc fermé. Blu nel caso del motomondiale e neri nel circus, i cappelli con il logo dei produttori di gomme vengono consegnati all’arrivo e sono personalizzati con la bandiera del paese ospitante e il piazzamento del pilota al traguardo, dal primo al terzo.

Differente è invece il cappello che i piloti usano per le apparizioni media, le conferenze stampa e l’incontro con i fan. Chi non ha endorsement commerciali in tal senso usa solitamente il cappello della squadra, caratterizzato dal logo della scuderia, dal main sponsor e dal numero con cui compete in gara. Chi invece, come nel caso di Alonso con il cappello Kimoa o di Aleix Espargaro con il celebre cappello rosa RAW, possiede accordi commerciali che prevedono la presenza del marchio sponsor, può sostituirlo a patto che questa attivazione sia concordata con il team e non in contrasto con altri sponsor.

Il cappello dei piloti come oggetto di culto

È facile intuire come un simile accessorio possa diventare immediatamente un oggetto del desiderio per tifosi e appassionati. Non è certamente una novità del motosport o qualcosa di sconosciuto al resto del marketing sportivo.

Anzi, a dare popolarità al cappello da baseball è stata appunto la Major League of Baseball, già negli anni del dopoguerra. Nel baseball il berretto è una parte obbligatoria dell’abbigliamento di gioco, ed è da sempre personalizzato con il logo delle squadre: celebri i cappelli blu dei New York Yankees, quelli rossi dei Boston Red Sox o quelli color navy dei Los Angeles Dodgers. Il baseball cap è presto diventato un accessorio indispensabile per la moda giovanile, oggetto di rappresentazione e appartenenza e uno dei più straordinari prodotti del marketing sportivo internazionale.

Non sorprende dunque che anche altri grandi property sportive mondiali, come quelle dei motori, stiano mettendo al centro della loro strategia merchandising i cappelli con visiera indossati dai piloti in pista. Celebre il caso di Mercedes, che produsse una intera linea di cappelli con il grande logo della stella di Stoccarda in una moltitudine di colori, dal rosa al verde Petronas al bianco, facendoli sapientemente indossare allo stesso Hamilton (che ora li trovava più di suo gradimento) e vendendone poi decine di migliaia agli appassionati di tutto il mondo.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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