Mentre queste righe vengono scritte, il mondo è in isolamento da mesi a causa della pandemia di Coronavirus. Fabbriche, scuole, università, uffici, tutto è chiuso, gli eventi sono stati cancellati, le assemblee di qualsiasi tipo sono vietate.
Si tratta di un periodo senza precedenti, non solo nella storia dell’Italia, ma anche a livello internazionale: se è vero che durante le guerre mondiali il pianeta aveva già vissuto uno stato di emergenza simile, è anche vero che le condizioni di contesto sono profondamente diverse.
La comunicazione ci salverà
Chiusi nelle nostre case, abbiamo subito cercato rifugio nei due grandi mezzi di comunicazione del nostro tempo, la televisione e Internet. Il tubo catodico era presente (ma non così diffuso) anche durante l’ultima guerra mondiale, mentre Internet rappresenta la grande rivoluzione di questa incredibile situazione. Covid-19 è la prima emergenza “digitalizzata” al mondo.
Lo sport è senza dubbio tra i settori che hanno immediatamente invaso la rete con maggiore rapidità ed energia, inondando le principali piattaforme di contenuti. Squadre, atleti e campionati, ovviamente, ma anche giornalisti, produttori di articoli sportivi, commentatori e manager hanno improvvisamente iniziato a riempire le colonne dei giornali, le bacheche virtuali e le timeline dei social network nel tentativo di compensare l’assenza di sport giocato.
L’intrattenitore per eccellenza della modernità, anche grazie alla presenza attiva di uffici di comunicazione e social media management molto strutturati, ha aggredito il mondo della comunicazione (in particolare quella online) in modo onesto e a tratti audace, alternando podcast, concorsi, aperitivi online, video del passato e persino pagine da colorare.
In parte per paura, in parte come esercizio di purificazione e in parte per necessità, spesso tutte queste attività sono state portate avanti senza un vero e proprio piano strategico. Come già detto, ci troviamo di fronte a un episodio che non ha precedenti: per molti, se non per tutti, questo è l’anno zero. Con una speranza: la comunicazione ci salverà. Ora è necessario capire se questa ipotesi è necessariamente vera e come indirizzare al meglio gli sforzi in tal senso.
Lo sport, l’ammissione, la crisi
Prima di lanciarsi in analisi o commenti è necessario stabilire con fermezza un assunto, con notevole serietà e serenità. Il mondo dello sport, a causa del Coronavirus, è entrato improvvisamente in un momento di grande e profonda crisi, probabilmente la peggiore nella storia dello sport internazionale.
Questa crisi è tutt’altro che concettuale: è effettiva, tangibile, assolutamente concreta. Per tutti coloro che sono coinvolti nel mondo dello sport (e qui il concetto di “prodotto sportivo” di Hardy e Mullin, che rappresentava la totalità delle azioni e delle realtà sportive, è abbastanza comodo), questa crisi assume aspetti e forme diverse che però hanno un minimo comune denominatore, ovvero le ripercussioni economiche sull’occupazione e sulla sua esistenza futura.
Non sono necessarie complicate costruzioni teoriche per comprendere la situazione. Se le partite non vengono giocate (o se le gare e gli eventi sportivi non vengono disputati), tutta la “raison d’être” per il sostentamento di un settore vengono meno. Se fossero necessari dei dati per inquadrare la questione a livello proporzionale, è sufficiente sottolineare che il calcio è la terza industria del sistema italiano.
Se le partite non vengono giocate, i biglietti e il merchandising non vengono venduti, non ci saranno sponsor, le scarpe sportive o gli abbonamenti per la palestra non saranno più necessari. Non ci sarà più bisogno di circuiti, di manutenzione degli stadi, di agenzie di comunicazione sportiva o di agenzie di sponsorizzazione. I giornalisti sportivi non avranno nulla di cui parlare, i fotografi non avranno foto da scattare, le televisioni non avranno nulla da trasmettere e i tecnici non avranno nulla da filmare, montare o produrre. Insomma, l’elenco è potenzialmente infinito.
La comunicazione di crisi nello sport e nella vita
Gli studiosi di comunicazione pubblica conoscono bene il concetto di comunicazione di crisi, ovvero l’insieme di strategie e tattiche da mettere in atto quando accade qualcosa di inaspettato che mette seriamente a rischio la reputazione di un’azienda o di un soggetto. Warren Buffet, un famoso imprenditore americano, ha affermato che“ci vogliono vent’anni per costruire la reputazione di un’azienda e ci vogliono cinque minuti per distruggerla“.
Secondo la teoria, la crisi è composta da sette diversi livelli: allarme, paura, impatto, valutazione, salvataggio, rimedio, recupero. Queste suddivisioni sono tutt’altro che teoriche e anche nel mondo dello sport queste fasi vengono purtroppo applicate in modo abbastanza ordinato dall’evoluzione dei fatti.
C’è stato un allarme – un virus proveniente dalla Cina la cui portata sanitaria è sorprendente; paura – se questo problema continua sarà necessario cancellare gli eventi, compresi quelli sportivi; impatto – tutti gli eventi, compresi quelli sportivi, sono stati effettivamente cancellati.
Seguendo la linea teorica, siamo ora alla fase di valutazione, in cui dobbiamo fare il punto sul nuovo mondo e dotarci degli strumenti per affrontarlo. Seguirà la fase di salvataggio, ovvero l’attuazione delle azioni per porre fine all’emergenza, poi la fase di rimedio e infine il recupero, ovvero il ritorno alla situazione precedente all’emergenza.
In realtà da qualche tempo la comunicazione di crisi non è una prerogativa specifica dei gruppi industriali: molte realtà sportive hanno dovuto attrezzarsi in questo modo per affrontare scandali e momenti difficili, ad esempio di frode o doping. Basta vedere come le grandi realtà sportive hanno affrontato i casi di Lance Armstrong o il deflate-gate dei New England Patriots o, più recentemente, la morte di Kobe Bryant, per citarne alcuni.
Vale quindi la pena di chiarire un punto. Se è vero che la prima regola della comunicazione di crisi è essere preparati alla crisi (ipotizzando scenari futuri o valutando i possibili punti deboli), è stato impossibile per chiunque prevedere, con sufficiente lungimiranza, cosa sarebbe successo prima degli eventi di Wuhan in Cina e infine di Codogno in Lombardia. Come a dire: certo, oggi c’è una crisi, ma nessuno l’ha vista arrivare.
Questo punto, apparentemente banale, è in realtà centrale per rispondere a molte domande che al giorno d’oggi attanagliano il mondo dello sport, dei commenti sportivi e delle sponsorizzazioni sportive. La verità, infatti, è che non esistono risposte a molte domande, semplicemente perché nessuno le ha mai poste. Quando ricomincerà il campionato? Chi vince se viene sospeso? Gli stipendi vengono pagati se le partite non vengono disputate? Qual è il ruolo dello sponsor se le gare non vengono disputate? Si tratta di questioni importanti, destinate però a rimanere senza risposta: la maggior parte dei contratti firmati prima del coronavirus non prevedeva nemmeno una frazione di tutto ciò che è accaduto negli ultimi trenta giorni.
Comunicare al buio e il turno del principiante
A causa dell’assenza di linee guida teoriche (dovuta alla già citata assurdità della situazione) stiamo probabilmente assistendo ai più disparati e sperimentali tentativi di comunicazione. Volendo pensare in positivo, è sicuramente un momento di grande crescita per il mondo della comunicazione sportiva: i fatti ci costringono a guardare a nuove idee con vecchi strumenti, a costruire un prodotto che manca e ad accompagnare gli utenti in un mondo che è invisibile.
Come già detto, si parte da zero e le dimensioni delle strutture non garantiscono necessariamente un risultato positivo. Piccoli blog gestiti da giornalisti sportivi locali stanno conquistando la rete con idee brillanti, mentre gigantesche proprietà sportive se la cavano a malapena negli ambienti politici e legali che le frenano. Alcune celebrità appaiono come campioni, mentre altre sono dei flop e, purtroppo, saranno ricordate per molto tempo. Alcuni gruppi stanno mostrando un lato di sé finora sconosciuto, mentre altri stanno mostrando un lato decisamente inelegante.
Abbiamo visto, insomma, in queste prime settimane di crisi, una comunicazione spesso al buio, che cerca la strada giusta tra l’infinita scelta di opzioni possibili lontano dai canali tradizionali; nel tentativo onesto di essere rilevante sia per il proprio pubblico che per i propri investitori.
Ognuno per sé, Dio per tutti
Qual è dunque lo scopo della comunicazione sportiva in questo periodo di crisi? La domanda è banale solo in apparenza.
Dopo un primo momento di partecipazione e coinvolgimento, fortunatamente condiviso, molte strategie di comunicazione si trovano ora a un bivio. È chiaro che le varie figure sportive comunicano per motivi e scopi diversi.
Se prendiamo un produttore di scarpe sportive è chiaro che, al di là delle responsabilità sociali, il suo scopo sarà quello di trovare un modo per vendere il maggior numero di prodotti possibile. Se prendiamo una società di trasmissione sportiva, possiamo supporre che il suo scopo sia quello di rimanere il più attraente possibile per non perdere abbonati. Se pensiamo a una squadra sportiva, non sarebbe sbagliato pensare che non solo debba coccolare i suoi tifosi, ma anche non perdere il contatto con i suoi sponsor. Gli sponsor, a loro volta, devono trovare un modo per continuare a sfruttare la popolarità e la visibilità delle proprietà sportive. Allo stesso modo, gli atleti devono continuare a fare notizia e a essere conosciuti dal pubblico per non perdere posizioni sul mercato sportivo e commerciale.
Non si tratta di un compito semplice e, al di là degli intenti più nobili, molti oggi si chiedono come affrontare la comunicazione della crisi con risoluzioni più pragmatiche. In sostanza, come possiamo parlare bene di ciò che sta accadendo in questo momento? Forse stando vicino alla propria comunità e cercando di far ripartire il motore delle attività economiche?
L’ideale sarebbe eliminare i ritardi ed evitare facili stigmatizzazioni puritane . Il mondo dello sport è intrattenimento rivolto all’esterno (cioè ai tifosi) ed è un’industria interna a tutti gli effetti, con stipendi da pagare, fornitori in attesa, stagioni da preparare, conti da salvare e così via.
Opportunità e rischi
Senza dubbio, quindi, una delle questioni più interessanti riguarda l’opportunità della comunicazione. Per opportunità si intende ovviamente“essere opportuni“, “non essere percepiti come fuori luogo”. Dal momento che internet offre continuamente la possibilità a squadre, atleti e sponsor di svolgere attività commerciali anche al di fuori degli eventi sportivi (come ad esempio attività per massimizzare la visibilità degli sponsor o la promozione dei loro negozi), il rischio di imbattersi in speculatori è sempre dietro l’angolo. Insomma, il confine tra opportunità commerciale e cattivo gusto è molto sottile.
Chi, come noi, ha a che fare con gli sponsor sa bene quanto sia importante, ad esempio, dare valore a un programma di sponsorizzazione quando le gare non si svolgono, le partite non hanno luogo e gli eventi vengono cancellati. È facile rivolgersi alla rete nel tentativo, spesso maldestro ma onesto, di dare ai partner ciò che il virus ha tolto, ovvero la possibilità di raggiungere milioni di spettatori. La tentazione di produrre post, interventi e attività per conto di terzi o di inserire pubblicità di prodotti a fini commerciali è comprensibile e legittima.
Tuttavia, questa mano tesa verso i compagni di avventura (come siamo soliti definire gli sponsor) non può trascendere la grave circostanza in cui ci troviamo. Probabilmente è più opportuno aspettare qualche settimana prima di riprendere con il giusto clamore pubblicitario e concentrarsi, nella fase iniziale, sulla comunicazione sociale e sulla responsabilità.
In futuro, siamo certi che le aziende che hanno saputo mantenere il silenzio su questioni puramente commerciali saranno apprezzate più di quelle che, a tutti i costi, hanno cercato di forzare la mano per massimizzare le sponsorizzazioni.
Si tratta chiaramente di un equilibrio molto difficile da trovare, in termini di peso e tempo. Quando possiamo iniziare a parlare di sponsorizzazioni, contratti, vendite e opportunità commerciali? E quanto queste attività devono influire sulla totalità della comunicazione durante la giornata o la settimana? E fino a che punto un lupo può essere travestito da agnello, mascherando la necessità di un’opportunità richiesta dal momento particolare?
Beneficenza reale e beneficenza PR
La comunicazione post-carità è un processo che si vede spesso al giorno d’oggi.
Ho un’opinione molto forte sull’argomento: l’eleganza vuole che la vera beneficenza sia fatta a telecamere spente. Fare un bel gesto e poi mostrarlo subito non è né da gentiluomini né ideale ai fini comunicativi. Al contrario, quando il volontariato e la beneficenza sono chiaramente uno strumento di PR, si rischia di ottenere risultati opposti a quelli sperati.
Anche in questo caso si tratta di essere opportuni.
Molti, sicuramente senza malizia, durante i primi giorni di emergenza avevano sfilato trionfalmente dichiarando di aver acquistato dei ventilatori o la fornitura di maschere o di aver fatto una donazione a questo o quell’ospedale. Gesti nobili, necessari e utili in un momento di emergenza nazionale, ma che non mi convincono del tutto. Questi gesti, tuttavia, perdono di credibilità quando vengono anticipati attraverso comunicati stampa dagli uffici di comunicazione interna.
Il volontariato dovrebbe svolgersi lontano dai giornalisti, altrimenti non ci sarebbe nulla di male nel chiamare gli uffici di pubbliche relazioni per quello che sono. In breve, è meglio dare alle cose il loro giusto nome, e tanto meglio se portano a obiettivi appropriati.
Dal reale al virtuale e viceversa
Mentre scriviamo, si è appena concluso il primo GP Stay At Home organizzato dal campionato di MotoGP sulla piattaforma virtuale del miglior videogioco di motociclismo. 10 piloti ufficiali hanno preso parte alla competizione Joypad: i due fratelli Marquez, Aleix Espargaro, Pecco Bagnaia, Fabio Quartararo, il duo Suzuki Mir e Rins, Leucona, Oliveira e Maverick Vinales.
L’iniziativa, che è stata ripresa in altre forme anche da altre serie sportive come la Formula 1 e la IndyCar, presenta molteplici vantaggi, al netto dell’evidente assenza di adrenalina che una vera gara offre.
In primo luogo, è uno strumento di continuità. In assenza di gare vere e proprie, è stata una mossa intelligente da parte di Dorna (detentrice dei diritti del campionato) offrire idee per traghettare gli appassionati, e non solo a causa della pausa invernale, fino al momento in cui le gare potranno ricominciare sui circuiti reali.
In secondo luogo, si tratta di uno spostamento dell’attenzione che può essere di assoluto interesse per i fan: i piloti, ripresi nelle loro case e lontani dalla tensione del giorno della gara, possono essere visti da una prospettiva diversa. Raramente vediamo il campione del mondo Marquez che si diverte con il fratello in cucina o Esparagro che rincorre i bambini sul divano tra una partita e l’altra.
Infine, e credo che il tema sia degno di nota, i giochi virtuali offrono un’alternativa alla visibilità generata per gli sponsor che – anche se in formato molto ridotto – possono vedere il loro marchio e i loro colori apparire su moto virtuali.
È chiaro, soprattutto agli amanti di questo tipo di attività ricreative, che lo streaming delle partite di videogiochi non è stato inventato oggi né dalla MotoGP. Al contrario, piattaforme come Twitch e il successo di famosi gamer e youtuber (che hanno raggiunto la celebrità mondiale) testimoniano da anni l’importanza planetaria assunta dal mondo del gaming.
Tuttavia, ciò che conta in questa fase è lo scambio (per volontà o per forza, come si suol dire) tra gli sport giocati e gli sport videoludici, in cui gli atleti reali si sfidano su piattaforme digitali. Passiamo dalla realtà al virtuale in attesa di tornare, speriamo presto, alla realtà, con gli stessi protagonisti.
È difficile dire oggi se questo Gp Stay At Home possa diventare una tendenza da perseguire come esperimento divertente o una tendenza destinata a scomparire. Quello che è certo è che ci saranno altri eventi, dove alcuni team – come Ducati – che non sono presenti oggi, hanno dichiarato che parteciperanno.
È altrettanto certo che, una volta terminata questa pandemia, il rapporto tra sport giocato e sport videoludico non sarà più lo stesso. L’importanza dell’industria videoludica e la crescente attenzione mondiale per i videogiochi impongono agli organizzatori, alle serie, ai campionati e probabilmente anche alle squadre di prestare attenzione all’aspetto ludico, che è in grado di coinvolgere centinaia di migliaia di giocatori ogni giorno in ogni angolo del mondo.
Chi si stancherà per primo? Un problema di lettura abbuffata
Un argomento che dovrà essere affrontato nei prossimi giorni è senza dubbio la quantità di comunicazioni che arrivano da tutti gli attori dell’industria sportiva. Se, come accennato, era comprensibile la grande affluenza di massa alla rete durante i primi giorni della pandemia, è ora necessario chiedersi per quanto tempo sarà opportuno continuare a proporre video degli allenamenti degli atleti, eventi passati, dirette Instagram dei giocatori o sondaggi sul rivestimento preferito sulle auto di Formula 1.
Non è ingiustificato prevedere, nell’immediato futuro, fenomeni di sovralettura e assuefazione a questo tipo di comunicazione. Anche il tifoso più accanito, che oggi desidera un po’ di calcio giocato o un po’ di azione nei campionati mondiali, probabilmente si stancherà di questa aggressività comunicativa (ovviamente in senso iperbolico e figurato).
Insomma, come dire: non puoi pensare di sostituire totalmente il fitto calendario sportivo pre-Coronavirus con un altrettanto fitto calendario di post su Facebook e storie su Instagram.
Il rischio è quello di far fallire uno dei grandi punti di forza del veicolo sportivo, ovvero quello di essere un mezzo(non propriamente) pull anziché push. Tornando all’aspetto delle sponsorizzazioni sportive, a noi caro, possiamo dire che funzionano proprio perché includono piuttosto che intromettersi: il messaggio pubblicitario è racchiuso all’interno di un evento che lo spettatore desidera guardare e non forzato come nella modalità di comunicazione “push”. Dobbiamo quindi fare attenzione a non trasformare lo sport in pubblicità per lo sport, potenzialmente antipatica anche al tifoso più appassionato.
Informare, divertire e distrarre, con attenzione e sincerità.
Covid, la pandemia globale, le serrate e l’impossibilità di assistere di persona agli eventi sono esempi enormi di crisi dello sport. Oggi più che mai, in questo preciso momento storico, il mondo dello sport deve assumere il ruolo di intrattenitore in modo intelligente. In tempi difficili per le vite e le coscienze, il pubblico deve potersi rivolgere allo sport (e alla comunicazione sportiva) come valvola di sfogo e momento di distrazione. Repliche di gare storiche, rubriche di approfondimento, giochi a premi e passatempi, se somministrati con garbo e misura, sono strumenti utili per far “rilassare e sentire a proprio agio”, almeno per un po’, gran parte della popolazione costretta a rimanere a casa in attesa che l’incubo finisca.
Informare, intrattenere e distrarre devono essere le funzioni principali da perseguire per chiunque pratichi la comunicazione sportiva perché non bisogna dimenticare, anche se la tentazione è forte, che il consumatore finale è l’obiettivo principale dello sport in generale. Che si tratti, come già detto, di una macchina da colorare, di un videogioco di basket, di un allenamento da replicare a casa propria o di una vecchia replica di eventi passati, in questo periodo lo sport deve sostanzialmente fungere da grande pacificatore della vita quotidiana.
È chiaro che la sfida per i comunicatori di oggi è sapere, con intelligenza e opportunità, come mescolare obiettivi esterni e interni, prestando allo stesso tempo molta attenzione a sponsor, investitori, partner e altri stakeholder del settore. Questo mix è tutt’altro che facile, soprattutto dopo un po’ di tempo, quando si iniziano a esaurire argomenti freschi, questioni sconosciute e percorsi imprevedibili.
Il nuovo mondo antico
Un giorno, speriamo non troppo lontano, i tempi difficili che stiamo attraversando saranno solo un ricordo. Quando questo accadrà, forse senza troppa enfasi, il mondo dello sport, della comunicazione sportiva, marketing sportivo e delle sponsorizzazioni sponsorizzazioni sarà profondamente cambiato. Come tutti i grandi momenti di cambiamento storico, anche questa emergenza, dal nome esotico “Covid-19“, avrà segnato un punto di non ritorno per professionalità, consapevolezza e competenze: lo sport non sarà esente da questo tipo di valutazione.
Questo periodo di tempo, molto probabilmente, ci lascerà con enormi lacune, ma anche con nuove ricchezze e nuovi strumenti. Senza dubbio avremo riscoperto un nuovo lato della nostra professione e del nostro settore, che forse oggi, per la prima volta, vediamo dall’alto nel suo insieme, con questo strano e condiviso senso di unità.
La speranza, l’augurio, è che il dopo sia migliore di quello che avevamo prima; che diventiamo più forti, più coscienziosi e più in linea l’uno con l’altro. Forse un po’ scossi, ma migliori.