In Marketing Sportivo, Sponsorizzazioni Sportive

Pochi giorni fa, MotoGP e Formula 1 hanno inaugurato le rispettive stagioni dalle sabbie notturne del medio oriente.

Inondate dalle luci dei riflettori e dei neon, e baciate dalle sabbie del deserto, le piste di Bahrain, Qatar e Arabia Saudita sono state il palcoscenico per due mondiali che stanno cambiando pelle mentre cercano di cambiare anima. O meglio, che hanno cambiato pelle mentre cambiavano anima. Allo spettatore più attento e fedele, questa metamorfosi innanzitutto visiva delle due competizioni non può essere sfuggita.

Sempre più cinematografici e sorprendenti, i circuiti su cui corrono i bolidi a due e quattro ruote più veloci del mondo, sono ora un caleidoscopio di colori fosforescenti, luci guizzanti, vie di fuga coloratissime, giochi di led mozzafiato. Fra palme, yacht, hotel mastodontici e fontane luminose, è difficile dire dove inizino e finiscano il cinema, il videogioco, l’entertainment.

Caschi, livree, divise, elementi e componenti hanno colori sempre più saturi, tratti più decisi, campiture più definite. Sfumature, intarsi e dettagli lasciano il posto a grandi macchie di colore al limite dello spettro luminoso, come il verde della nuova Sauber o il giallo vibrante della nuova Ducati VR46. Contemporaneamente, costruttori e manufacturer giocano con materiali e vernici, cercando soluzioni fra il matte totale della Red Bull e l’iridescenza di stampo Daft Punk dei caschi di Lewis Hamilton.

Grafiche interattive, data-on-screen, animazioni, motion graphics e altro offrono allo spettatore un’esperienza e un quantitativo di informazioni inimmaginabile fino a qualche anno fa

Motorsport: Vedere per credere

L’aspetto sensoriale del motorsport, spesso tralasciato, è una componente fondamentale del suo successo e della sua popolarità. Se non tutti hanno la fortuna di potere assistere dal vivo alle gare -e quindi smarriscono in parte la componente uditiva su cui i grandi produttori come Dorna stanno già lavorando con microfoni avveniristici e super sensibili- il grande impatto visivo delle massime serie come Formula 1, MotoGP, Formula E, Nascar e WEC è parte fondante del fascino, della attrazione e della marketability di queste serie.

In sostanza, questi sport sono così efficaci su pubblico e brand anche perché sono così belli da vedere, perchè il loro immaginario rappresentativo, il loro aspetto plastico è così potente.

È un tema interessante in primo luogo per il marketing, che ha nell’aspetto percettivo e nella componente emotiva alcune delle aree di più forte attivazione. Quanto pesa, insomma, l’attrazione visiva, il peso sensoriale -e infine il bello- nelle scelte che compiamo, nelle decisioni che scegliamo di prendere e nei tanto attesi -dai marketer- cambi di comportamento?

Per rispondere a questa domanda facciamo un passo indietro. Cosa c’è di così affascinante, magnetico, nell’immagine di una supercar, o di una moto sportiva? E, banalmente, perchè attorno a ogni Lamborghini, Ferrari, Pagani parcheggiata lungo la strada c’è un capannello di persone? La risposta, banale ma naturale, è che questi veicoli sono belli, oltre che rari. Ora, come sa anche un bambino, “bello” è una parola che significa tutto e niente: il concetto di bello è difficile da argomentare, privo di contorni e certamente non aiuta nell’analisi, così come il vecchio adagio che vuole il bello negli occhi di chi guarda.

Ad aiutarci di più invece è una teoria che il saggista Roland Barthes, ben conosciuto dagli studiosi di linguaggi visivi di tutto il mondo, mise a punto nel 1980 nel suo testo “Camera Lucida”. Barthes dice, fra l’altro, che ogni volta che noi guardiamo qualcosa -nel suo saggio, una fotografia- ci sono due aspetti che lavorano in sinergia: lo studium e il punctum.

Lo studium è l’aspetto razionale, lucido, fisico dell’immagine, quello che insomma ci dice che quella è un veicolo di quel modello e marca, che ha questo colore e con queste caratteristiche. Il punctum è ciò che ci coinvolge in un’immagine, un segno particolare che agisce su di noi e che reca l’impressione di essere feriti in qualche punto dell’anima. Barthes non è in grado di spiegarci cosa sia il punctum, se non tramite una sfumatura di definizione: è qualcosa di improvviso, casuale e privato.

Aggiustando la teoria di Barthes al nostro ambito, non è del tutto garibaldino affermare che il motorsport, specie quello di altissima fascia, contiene per gli appassionati un punctum difficile da spiegare ma innegabile. Insomma, e come sanno tutti gli appassionati, un’auto di Formula 1 anche se parcheggiata in un garage possiede un magnetismo catartico. Così come allo stesso modo un circuito, anche se vuoto e silenzioso, reca in sé il potere vorticoso delle corse.

abu dhabi GP F1

La forza visiva e il successo

Entrata in programmazione a Marzo 2019, nel pieno dell’epidemia COVID, Drive to Survive è una delle più popolari serie televisive a tema sportivo della storia della televisione. Forti di questo successo e certi di potere replicare le fortune del prodotto, i produttori James Gay Rees e Paul Martin, hanno contattato Netflix per la realizzazione di una serie sul mondo del Tennis, intitolata Break Point. Il concetto alla base di Break Point non è dissimile da quello, fortunato, di Drive to Survive: dare agli spettatori accesso esclusivo e di altissima qualità al dietro le quinte, ai match e ai tanti dettagli dello spettacolare mondo della racchetta.

Purtroppo per Rees e Martin, Break Point viene cancellata dopo due stagioni, con Netflix che incolpa ascolti bassissimi e fedeltà inesistente degli spettatori. Se l’insuccesso è in parte da ritrovarsi nell’assenza di alcune superstar e in alcuni errori marchiani nella narrativa, in molti puntano il dito sul fatto che il tennis, a differenza della Formula 1 non è visivamente coinvolgente.

Nelle parole della review del popolare magazine Slate: “Once we get to the actual playing of the matches, something goes haywire. Break point feels almost afraid to show us what the sport is about. […] For the most part, it instead relies on close-ups of player striking the ball, as majestic as they are repetitive” (Quando poi si arriva effettivamente al gioco e alle partite, qualcosa va fuori controllo. È come se Break Point avesse timore nel mostrarci la realtà dello sport […]. Per lo più lo show si incentra su primi piani di giocatori che colpiscono la pallina, un gesto tanto grandioso quanto monotono”.

Il giochino riesce invece benissimo a Drive to Survive, che anche nei momenti in cui lo script è poco ispirato o palesemente romanzato può fare leva su un comparto plastico e visivo di primissimo ordine. Lo scintillante schieramento della griglia di partenza al Gran Premio di Monaco, la sagoma di Verstappen in piedi sul muso della sua Red Bull nel trionfo della notte squarciata dai flash, le curve mozzafiato di Spa che si tuffano nel bosco sono asset di comunicazione su cui pochissimi sport possono contare. E dalla straordinaria potenza.

Governare lo sguardo, colpire il cuore

Non è la prima volta che le grandi property sportive cercano di comprendere, dirigere, manipolare, migliorare e infine sfruttare la innata potenza visiva dello sport.

Già a metà degli anni ’80 la NBA, la lega professionistica del basket americano, incarica Andrew Bernstein, fotografo e studioso di arte contemporanea proveniente dall’Art College of Design di Pasadena, di rendere il gioco più “cool” per chi lo guarda in presenza, alla televisione in diretta o per chi ne sfoglia le foto sui magazine. Bernstein creerà per la NBA numerose tecniche, strumenti e teorie sulla comunicazione sportiva che tutt’oggi sono ancora applicate e affinerà una volta e per tutte il concetto di all-access-reportage sportivo.

Formula 1, MotoGP, WEC e le altri grandi serie del motorsport oggi non sono da meno. Lo straordinario investimento economico, creativo e tecnologico messo in campo per rendere lo spettacolo più coinvolgente, l’immagine più emozionante, il setting più attraente è assolutamente manifesto.

Senza ombra di dubbio l’esigenza della spettacolarizzazione nasce anche da una competizione extra settore che tutto il mondo dello sport vive con l’arena dell’entertainment e che muove passi da gigante nella direzione del coinvolgimento, del carico sensoriale e del numero e dalla potenza degli stimoli cui gli utenti sono sottoposti.

Tuttavia, e forse è ancor più importante, i governing bodies dello sport sanno bene che, per usare un’altra espressione cara al mondo del marketing, “si compra con gli occhi” e stanno facendo di tutto per rendere sempre più memorabile ogni secondo, ogni fotogramma, ogni pezzo di contenuto. Più un’emozione è forte, più i sensi sono sollecitati, più ardente è il percepito che ci giunge da un’esperienza, più forte l’impressione che si creerà nella mente e il legame con i marchi, i brand e l’intero sottesto. In questo, e per ragioni strutturali, il motorsport sta mostrando di avere potenzialità sconosciute a quasi tutte le altre discipline, con pochissime eccezioni.

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Verso l’infinito e oltre

Qiddiya City, il faraonico megaprogetto di sviluppo in costruzione ai margini di Riyadh in Arabia Saudita ospiterà dal 2027 un nuovo Gran Premio. Le immagini provenienti dai render e dalle simulazioni restituiscono l’immagine spettacolare di una striscia di asfalto che si snoda fra i fuochi d’artificio, i led luminosi e -soprattutto- la più alta parabolica del mondo, “the Blade”, alta più di un palazzo di venti piani. Come qualcuno ha avuto occasione di sottolineare, è qualcosa di più simile a una versione in scala 1:1 di Mario Kart che ad una pista per le automobili.

Se da un lato gli sponsor profittano di questo boom visivo e sensoriale garantito dalle massime serie del racing, è anche vero che dall’altro i loro dipartimenti creativi trovano terreno fertile per contribuire allo spettacolo con innovazioni e attivazioni sempre più spettacolari. Basti pensare al ruolo che Red Bull ha avuto sul modo in cui la Formula 1 si fa vedere adesso, con monoposto che sfrecciano nei centri storici o sui pendii innevati, o motociclette che invadono Millennium Bridge, per comprendere quanto questa commistione sia a doppio filo e inscindibile.

La domanda che è necessario porsi, a questo punto, non può essere che una: fino a quando questa scorpacciata visuale, questa invasione dei sensi, è prodromica alla costruzione di uno spettacolo sportivo eccellente e quando invece, diventa esercizio di stile fine a sé stesso, manieristico ed ingombrante? Se è vero che una grande scenografia impreziosisce lo spettacolo e dona lustro agli attori, è anche vero che questa non può coprire e oscurare la trama della piece, o arrivare prima della performance del protagonista.

È un tema che produttori ed organizzatori del motorsport devono iniziare a porsi, mentre i calendari si riempiono di tappe da videogame, paesaggi mozzafiato e veicoli scintillanti. Nel frattempo però, sponsor e partner possono gioire di questa entusiasmante festa per gli occhi, certi del fatto che ogni secondo di questo lussureggiante spettacolo fa buon gioco ai loro marchi e al ricordo che gli spettatori hanno di essi.

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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