Nelle ultime settimane una delle tematiche più rilevanti per i team di F1 è quella del budget cap, al momento fissato in 140 MIlioni di Dollari (da cui sono esclusi l’ingaggio dei piloti, i costi di marketing e quelli dei 3 impiegati con il salario più alto.)
Si dibatte anche di una possibile estensione del salary cap per i piloti.
All’aspetto prettamente tecnico della questione si aggiunge anche quello economico e di marketing per chi ha investito, continua ad investire ed investirà in futuro: tagliare i fondi ridurrà la spettacolarità/appetibilità per gli sponsor?
Prima di parlare delle possibili conseguenze, riassumiamo brevemente la situazione.
Il budget cap è un tetto massimo di spesa a cui la scuderia deve attenersi nel corso della stagione.
Viene introdotto nel 2021 e prende spunto dal salary cap di altri sport d’oltreoceano quali NBA e NFL. La sua nascita ha uno scopo ben preciso: tutelare i team minori (ovvero permettergli di svolgere una stagione economicamente sostenibile) ed aumentare la competitività diffusa permettendo anche ai “pesci piccoli” di competere ad armi pari con le scuderie al vertice.
È chiaro come una potenza economica come Mercedes abbia introiti decisamente differenti rispetto alle scuderie rivali di bassa classifica. È altrettanto evidente come questo abbia influito sul dominio tedesco nella recente era ibrida.
L’attuale team budget cap stagionale in F1 si attesta a 140 milioni di dollari, e dovrebbe variare a seconda del numero di gare aggiunte o rimosse in corso.
Le squadre sono piuttosto in contrasto su tale argomento, tanto da dover scomodare direttamente la FIA per prendere una decisione definitiva. In particolare, la richiesta di aumento del budget cap proviene dai team di alta classifica come Ferrari e Mercedes protagoniste di molti aggiornamenti nel corso di questa stagione, in particolare il porpoising (violento rimbalzare dell’auto) ha portato la scuderia Anglo-Tedesca ad ingenti investimenti per risolvere il problema.
Red Bull ha la fortuna di una macchina “nata bene” e vede la necessità di alzare la soglia a causa dell’aumento dei costi di energia e trasporti e successiva impennata inflattiva causata dal conflitto in Ucraina.
D’altra parte invece, team come Haas, Alfa Romeo e Williams hanno visioni opposte rispetto ai sopracitati, in quanto non vedono necessario un intervento del genere a competizione in corso, tanto che falserebbe i risultati finali secondo la loro prospettiva.
Spostandoci sui sedili, anche lo stipendio dei piloti è diventato motivo di discussione. Il timore è che ci possa essere un forte rialzo della domanda rispetto alle offerte contrattuali attuali da parte dei protagonisti del paddock. In questo momento, a risentirne di più sarebbero personaggi del calibro di Lewis Hamilton e Max Verstappen, ovvero i più pagati nel circus. Ad aver espresso già una propria opinione è il giovane olandese, il quale si oppone chiaramente: “Al momento la F1 è sempre più popolare e tutti guadagnano sempre di più. Perché i piloti dovrebbero avere un tetto? Sono quelli che danno spettacolo e rischiano la vita”.
Dopo aver constato che non si tratta di un argomento facile da trattare, data la moltitudine di sfaccettature presenti, iniziamo a valutare le conseguenze di tutti gli scenari possibili.
Il budget cap non cambia: cosa succede?
Le voci precedentemente elencate non lasciano scampo a nessun dettaglio: ogni costo è tracciato, ben riconoscibile e schedato. C’è un margine davvero molto risicato per gli errori e questo lo sanno bene sia i team, sia gli stessi piloti che convivono con la pressione del risultato in griglia, la necessità di non fare danni all’auto, gli obiettivi della squadra, l’ego personale, la propria incolumità a 350 km/h e tutto ciò nello stesso momento.
Non aumentare questo “tetto” significa vedere meno aggiornamenti sulle monoposto, quindi meno migliorie che potrebbero tradursi in meno spettacolarità derivante dalla minor competitività diffusa.
Chi produce una buona macchina all’inizio dell’anno ha un vantaggio difficilmente colmabile se non si può spendere liberamente.
I team al vertice ne risentono maggiormente, poiché la corsa al titolo è più spietata che mai. Ogni particolare, ogni appendice aerodinamica ogni diavoleria che l’avversario possiede migliore della tua ed è più performante può fare la differenza. Nel mondo dei comuni mortali come noi, quasi mai si da peso al tempo come unità di misura qualitativa. In Formula 1, un decimo di secondo può costare milioni di euro. Sia nella fase di sviluppo/aggiornamento per battere il cronometro, sia in caso di incidente.
Proprio in quest’ultimo scenario, a partire da quest’anno potrebbe esserci il serio rischio di non vedere tutte le scuderie concludere il mondiale a causa dei costi degli imprevisti in pista. Una volta finito il budget per le riparazioni, non esiste una “terza macchina”. Rimarrebbe solo lo scotch isolante, come per l’alettone posteriore di Yuki Tsunoda nel Gran Premio d’Azerbaijan 2022.
Una situazione simile sarebbe a dir poco catastrofica per l’immagine dei team coinvolti, i quali dovrebbero affrontarne le conseguenze sia in termini sportivi, sia in termini legali. I contratti di sponsorizzazione in Formula 1 sono legati in parte ai risultati, in parte alla presenza della scuderia alle gare. Non sarebbe il mancato raggiungimento di un obiettivo sportivo a creare particolare scompiglio, quanto la mancata partecipazione a uno o più GP.
Il budget cap si alza: tutti felici e contenti?
Non esattamente. Come spiegato in precedenza, non tutti i team possono investire cifre astronomiche. Alzare il tetto di spesa non lascia scelta alle scuderie minori, quindi costrette ad un ulteriore sacrificio economico non indifferente se vogliono sperare di essere competitive.
È giusto specificare però che – soprattutto loro – hanno interesse nel tentare di concludere ogni gara in zona punti, visto che l’organizzatore riconosce un compenso in denaro ai primi dieci classificati. Pertanto si parlerebbe di un investimento finanziabile teoricamente con i risultati sportivi, ottenibili in pista.
Inoltre, la F1 di oggi gode di una rilevanza mediatica di dimensioni senza precedenti. Sarebbe uno spreco non sfruttarla, sia da parte di team e piloti, sia per la federazione stessa. Aumentare la possibilità di mettere mano alle monoposto avrebbe un ritorno notevole in termini di spettacolarità. È proprio l’incremento del famigerato “drama” che ha permesso un’espansione notevole negli ultimi anni.
Gli sponsor che decidono di investire in questo mondo lo fanno proprio perché non c’è un altro sport così adrenalinico ed estremo con un tale spettro di visibilità. Limitarne le possibilità lascerebbe quel retrogusto di “what if” che tutto il complesso ambiente delle figure agenti nel settore (dalla F1 fino al tifoso) avrebbe a stagione conclusa.
Tiriamo le somme
L’intento della FIA di voler rendere la competizione ad armi pari per tutti è un gesto finalizzato a rendere più interessante lo spettacolo per tifosi e sponsor.
A fare la differenza rimangono i fondi a disposizione per la scelta degli ingegneri che lavorano sulle monoposto, dal concept alla messa in pista. Oltre alle prestazioni della macchina, un’equipe di esperti del settore promette molto in termini di affidabilità (tema oggi più che mai al centro delle discussioni, soprattutto a Maranello).
Siamo tutti testimoni del fatto che le strategie dal box di gara possono decidere un mondiale tanto quanto potenza, assetto ed affidabilità della macchina o la bravura del pilota. Anche l’essere sicuri dei propri mezzi nonostante le critiche può incidere positivamente sull’ambiente.
Le dichiarazioni del Team Principal Ferrari, Mattia Binotto, ne sono la dimostrazione: “Preferisco avere una macchina veloce e competitiva piuttosto che affidabile. È più facile per noi lavorare su questo aspetto”.
Parole dure se viste dalla prospettiva prettamente “da tifoso”, ma incoraggianti se inquadrate come “abbiamo la situazione sotto controllo”.
Discorso diverso per quanto riguarda il salary cap. Se ragioniamo in termini di paragone, gli stipendi percepiti dagli atleti nei massimi campionati sportivi del mondo sono leggermente diversi rispetto alla F1.
I piloti che guidano questa classifica, come già anticipato, sono Max Verstappen e Lewis Hamilton che percepiscono rispettivamente €36M e €35M a stagione. A seguire, troviamo Fernando Alonso a quota €17M. Sotto di loro, possiamo trovare ancora pochi sopra i €10M fino a scendere ai €650k di Yuki Tsunoda.*
Ora prendiamo d’esempio i salari dei giocatori di basket in NBA, ricordando che si tratta di un campionato dove è vigente il salary cap. È interessante notare come ben 12 atleti siano più remunerati rispetto ai primi 2 piloti in Formula 1.**
Potrebbe essere citato anche il calcio, ma non essendoci ancora in vigore un tetto massimo né per gli stipendi né per i trasferimenti, sarebbe fuorviante. È giusto però quantomeno accennare al fresco rinnovo di contratto del calciatore Kylian Mbappè, legato al Paris Saint German per le modiche cifre di €118M alla firma più €54M a stagione fino al 2025.***
Paragonando il tasso di rischio per l’incolumità degli atleti in questi sport con la massima classe delle quattro ruote, lasciamo fare le dovute riflessioni a chi di dovere.
Tu cosa ne pensi? Su quale ambito investiresti per una sponsorship sportiva con la tua azienda? Non perdere l’occasione di migliorare la comunicazione del tuo business con i valori dello sport e contattaci per maggiori informazioni.
*: “Formula 1 2022, gli stipendi dei piloti: altro duello Hamilton-Verstappen” – https://www.money.it/Formula-1-2022-stipendi-piloti-Hamilton-Ferrari
**: “Stipendi NBA, i giocatori più pagati nel 2022” – https://www.dunkest.com/it/nba/notizie/12291/stipendi-nba-giocatori-piu-pagati
***: “I dettagli del rinnovo con il PSG di Kylian Mbappe” – https://www.socialmediasoccer.com/it/articolo/i-dettagli-del-rinnovo-con-il-psg-di-kylian-mbappe.html#:~:text=Il%20PSG%20secondo%20quanto%20trapelato,fatto%20la%20sua%20attuale%20retribuzione.