In Formula 1, Marketing Sportivo

Il cambio di regolamento della Formula 1 -nuove macchine e nuove gomme in primis- ha portato a due gare spettacolari e ascolti record. Un rischio che ha pagato ma che era necessario, se la massima serie dell’automobilismo voleva continuare a rimanere attuale e rilevante per pubblico e sponsor.

Sports marketing: comunicare dentro e fuori dalla propria arena

Come sanno bene gli operatori del settore, ogni property sportiva deve dirigere in due direzioni eguali e contrarie i suoi sforzi di comunicazione e promozione. 

Da un lato, la property -e poco importa che questa sia un club, uno stadio, una lega sportiva o una federazione- deve indirizzare le sue azioni all’interno della propria naturale area di insistenza, per parlare con il proprio pubblico, interagire con i propri stakeholder ed in generale dare continuità ad una relazione esistente e fondata su una comunione d’intenti.

Dall’altro lato, altresì, la medesima property combatte ogni giorno una lotta serrata con altri oggetti, organismi, organizzazioni e entità esterne che insistono su aree diverse e distanti da quella che è la sua naturale verticale di riferimento. È una lotta per l’attenzione, per l’interesse, per la rilevanza ed, ultimo ma non ultimo, per lo screen time. Questo è tanto più vero e rilevante quanto più grande e globalmente interessante la property.

In buona sostanza, e per fare un esempio che sgombri il campo, un grande club di calcio non deve soltanto concentrarsi sui suoi tifosi e sui suoi investitori, ma deve contemporaneamente lottare per l’attenzione di nuovi consumatori contro altre forme di entertainment, dai videogiochi alla musica, dal cinema al social media. 

Questa duplice direzione del marketing e della comunicazione, che è contemporaneamente verso l’interno e verso l’esterno, è la chiave di un equilibrio virtuoso e foriero di successo, ma anche difficilissimo da trovare. 

Dimenticare di comunicare verso l’interno significa perdere lo zoccolo duro dei propri tifosi e allontanarsi dalle proprie MVP storiche (Mission, Vision, Purpose). Di contro, smettere di comunicare all’esterno significa chiudersi in una nicchia che non attrae più nuovo pubblico e che porta, nel medio e lungo periodo, all’estinzione del prodotto.

Cenni teorici a parte, proprio qui sta la grande difficoltà di ogni cambiamento: come rimanere rilevanti per il proprio pubblico e diventare appetibili per chi ancora non ci segue? Come procedere verso la modernità senza tradire l’heritage? Ed infine, come trovare il nuovo senza buttare via il vecchio?

A ben pensarci è un dramma trasversale per il mondo del marketing in generale, in perenne bilico fra il presente ed il futuro: proprio di questo si occupa il Product Life-Cycle Management, ovvero la strategizzazione di processi e azioni per gestire e guidare il ciclo di vita di un prodotto o servizio.

Formula 1: cambiare per rimanere gli stessi

Come accennato in apertura, la gestione del ciclo di vita del prodotto è tanto più importante quanto più è grande e globale la property. In un mercato assolutamente trasversale, planetario e molteplicemente connesso non solo non vale il “too big to fail” che si credeva vero fino a una decina di anni fa, ma paradossalmente vengono richiesti maggiori sforzi di adattamento proprio alle realtà più strutturate. Questo ragionamento si applica, ovviamente, anche nell’ambito del marketing sportivo. 

In questo contesto, la Formula 1 fa parte di quell’élite di leghe, serie e campionati che catalizzano la maggior parte della attenzione mondiale. Insieme a Premier League, NBA, NFL, Champions League e MotoGP, la massima serie dell’automobilismo si posiziona di diritto come uno dei più straordinari entertainer del pianeta. Solo nel 2021, il circus ha accumulato 1,5 Miliardi di spettatori complessivi, 433 Milioni di spettatori unici e quasi 5 milioni di pubblico sugli spalti dei circuiti su più di venti gare in 10 mesi (fonte: Nielsen for Formula 1- 2021). Numeri da capogiro che, come sempre, hanno la doppia faccia del successo e della responsabilità.

È nell’ottica di quanto si è scritto fin qui, e con ben chiaro nello specchio retrovisore lo spettro di un recente passato non semplicissimo, che va interpretato il grande cambiamento che la massima Formula ha deciso di intraprendere sotto più fronti da alcuni tempi a questa parte e che solo ora sta mostrando i suoi veri colori. Un cambiamento che, per ragioni di semplicità, possiamo dividere in quattro punti:

  • Regolamentare
  • Di produzione e distribuzione media
  • Geografico
  • Demografico e culturale

La Formula 1 che cambia: il regolamento

Quello regolamentare, ed espresso al massimo del suo vigore dalla modifica del Rule Book di questa stagione sportiva, è certamente il più manifesto di tutti i cambi di pelle dello sport a quattro ruote più famoso del mondo. Macchine che tornano all’effetto suolo, semplificazione della dinamica dei fluidi per consentire sorpassi più avvincenti, termocoperte a minor temperatura e via discorrendo sono in realtà dettagli trascurabili di un grande disegno che si può sostanziare in una semplice frase: alla Formula 1 servono gare divertenti, con molti sorpassi e grandi colpi di scena. 

Perchè però diciamo dettagli “trascurabili”? Quello che è evidente è che il governing body dello sport sta cercando di allontanare il fantasma della complessità per cercare di abbassare le barriere all’ingresso per i nuovi spettatori. Un new user, e questo è sì invece un problema di marketing, non può avere difficoltà all’accesso del prodotto poichè, se non sufficientemente motivato, si stancherà e si rivolgerà altrove. Uno sport in cui è necessario possedere una laurea in termodinamica e seguire la gara con un taccuino degli appunti non è uno sport, è un problema di matematica. La Formula 1 questo lo sa bene. Ma sa anche che creare competitività – un tema che questo blog ha già trattato in passato– è difficile, specie quando c’è tanta tecnologia in gioco. 

Da qui un cambio di regolamento che, pur lasciando le complessità e i dettagli tanto amati dagli appassionati (comunicazione all’interno della propria arena), offre un prodotto semplice, intuitivo e fruibile a chi vi si avvicina per la prima volta (comunicazione all’esterno della propria arena).

È evidente che la soddisfazione di entrambi questi pubblici è la conditio sine qua non della bontà del giocattolo e di questi diversi layer di visione. Il nuovo utente sarà felice di vedere i sorpassi e i controsorpassi fra Verstappen e LeClerc, mentre i più appassionati potranno elucubrare sugli undercut meno performanti ora che le gomme escono a 70 gradi e non 160 dal garage.

La Formula 1 che cambia: produzione e distribuzione media

Drive to Survive, la popolarissima serie televisiva giunta ora alla quarta stagione, è stata un vero colpo da maestro da parte degli uffici marketing del circus. Il prodotto televisivo non solo offre un angolo più gossipparo e gustoso, capace di incuriosire anche un pubblico non necessariamente sport-oriented, ma ha il doppio vantaggio di penetrare in nuove nicchie di pubblico e di allungare l’esperienza e il ricordo per brand, sponsor e manufacturer. 

DTS è uno dei tanti, piccoli e grandi cambiamenti che Liberty Media ha portato sul fronte del product placement e del product promotion. Un nuovo logo, un nuovo font, nuove grafiche, nuove sigle e nuova regia si aggiungono ad una lista non esaustiva di diversi tocchi ad uno sport che ha cambiato faccia in pochi anni. 

È qui necessario intendersi bene sul ruolo olistico di una comunicazione integrata di qualità. È evidente che un nuovo logo, di per sé, non porta nulla alla causa. Altresì però è vero che una brand image rispondente ad un linguaggio moderno e al passo con i tempi è importante per allinearsi ad un’abitudine visiva che cambia con sempre maggior frequenza (non a caso anche la Premier League ha rinnovato pochi anni fa il proprio logo e palette colori -entrambi bellissimi).

La Formula 1 che cambia: Geografie

Quello dei confini, fisici ma non solo, è un tema dominante di tutte le massime property sportive del mondo. Spostarsi da mercati saturi a mercati in espansione è una necessità sia per gli sponsor, che per gli stakeholder che per trovare nuove fette di pubblico. Questo concetto è tanto intuitivo quanto difficilissimo da mettere in pratica, per ragioni logistiche, di tempi e di economie (lo sa bene la National Football League, da anni in sperimentazione per portare una squadra a Londra e fare sbarcare il pallone ovale meno famoso del mondo nel vecchio continente). 

Liberty, la FOM e la FIA hanno sul tavolo un puzzle con diversi pezzi da mettere insieme, non necessariamente combacianti. Da un lato, c’è un’egemonia culturale e di legacy dell’Europa sul prodotto Formula 1, che ha in Inghilterra, Italia e area mitteleuropea i suoi natali e la maggior parte delle sue scuderie. Dall’altro canto c’è una necessità di spostare i baricentri verso aree con maggior margine di manovra e più denaro, segnatamente il Middle East. In terzo luogo vi è la consapevolezza che un prodotto realmente globale non può non avere trazione, seguito e interessi negli Stati Uniti. Infine, che le settimane dell’anno a disposizione sono meno di una quarantina (se si considerano ovviamente le pause) e per movimentare cargo e materiali occorrono tempo e organizzazione. 

L’estensione del calendario a 23 gare, con l’introduzione di tracciati come l’Arabia Saudita (2021) e di Miami (2022) affiancati da un solido gruppo di circuiti storici, va proprio in questa direzione. 

Per il ragionamento fatto in precedenza sulle due direzioni della comunicazione, è chiaro che il circus non si può sbarazzare, salvo cercare l’harakiri, di piste che rappresentano il cuore pulsante dello sport come il gioiello belga di Spa o il velocissimo tracciato brianzolo di Monza. Ma è altresì chiaro che le fortune economiche della massima Formula non possono basarsi su un centro Europa sempre più stazionario dal punto di vista monetario ma debbono trovare nuovo brio in mercati più frizzanti e in esplosione come quelli del middle east. Non si può allungare per sempre il calendario, anche se c’è già chi chiede 30 gare, ma certamente l’estensione della mappa e il ritorno di grandi classiche come Imola sono per sponsor e investitori ottime notizie.

La Formula 1 che cambia: demografia e cultura 

Questo è forse l’aspetto più difficile, intangibile e delicato del nostro ragionamento. Altresì, per gli stessi motivi, è forse il più importante. Se è infatti facile individuare le modifiche nel regolamento o apprezzare l’allungamento del calendario, è difficile dare conto di un cambiamento che è tanto culturale quanto demografico.

Le due cose, come è facilmente inteso, vanno di pari passo. 

Piattaforma di marketing internazionale, sport popolarissimo e da sempre punta di diamante dell’intera industria dell’automotive, la Formula 1 ha necessità di presentarsi al mondo con un ruolino etico, culturale e di immagine assolutamente di prim’ordine. Il grande spazio dedicato negli ultimi anni al Black Lives Matter, l’attenzione ai temi sociali di inclusion e diversity, il respiro altamente internazionale ne sono una prova evidente. Che non si tratti solo di sport è fin troppo scontato. Come qualsiasi grande entertainer della modernità, la massima serie a ruote scoperte deve anche abbracciare il ruolo di grande educatore. Piaccia o non piaccia, d’accordo o no questo è ciò che la modernità impone alle grandi corporation e ai soggetti più in vista. Questo è specialmente vero se si tratta di motorsport, tradizionalmente una disciplina che ha avuto a che vedere con tematiche come il machismo da spogliatoio e che oggi cerca, come fatica a fare la NASCAR, di levarsi di dosso la polvere del garage di provincia.

A questo si affianca prepotente il tema delle nuove generazioni. Iper connesse e dall’attenzione formidabile ma sfuggente, abituate al multimedia, al multischermo e profondamente legate ad un’estetica, quella del videogioco e del digitale, largamente rivoluzionata. Spingere forte sui social media, cercare di velocizzare le produzioni, costruire attorno ai protagonisti dei character molto simili agli eroi (o agli antagonisti) di una serie TV, dare a tutto una patina da videogame sono alcune delle carte nel mazzo giocato dalla Formula 1.

La monoposto RedBull di Verstappen che si ferma al termine della gara su una strepitosa piattaforma luminosa ed interattiva, mentre un drone 4K riprende la notte araba, illuminata di neon fosforescenti, fuochi d’artificio e paesaggi da sogno è l’ennesima prova di questo salto, che è tanto generazionale quanto di intenti. Questo non è solo sport, ma lo spettacolo più bello del mondo.

Il futuro che verrà

La Formula 1 di questa stagione ha regalato fino ad ora quello che aveva promesso. 

Gare rocambolesche con macchine finalmente in grado di sorpassare e lottare ad ogni curva, scenari da sogno in piste visivamente straordinarie, una diffusa competitività e numerosi colpi di scena portati da un cambio di regolamento cui non tutti, specie fra i più blasonati, hanno saputo adattarsi.

È irrealistico pensare che il livello di spettacolo fin qui proposto rimanga tale anche per le prossime 21 uscite. È invece utile apprezzare il fatto che questo non sia un exploit casuale ma il frutto di una direzione sensata e di una strategia ben chiara, che può rincuorare sponsor, addetti ai lavori, stakeholder e protagonisti. Una strategia a lungo termine che ha come principale obiettivo quello di assicurare il futuro del circus fra le massime piattaforme sportive e di entertainment del mondo lottando nelle due direzioni citate all’inizio di questo articolo con la medesima, rinnovata efficacia. 

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Emanuele Venturoli
Emanuele Venturoli
Laureato in Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica all'Università di Bologna, è da sempre appassionato di marketing, design e sport.
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